Le buone notizie, si sa, sono merce rara. Nel Bel Paese, afflitto dalla recessione che cresce mentre l’occupazione rischia di scendere, sono pepite quasi introvabili. Per questo val la pena di difenderle come merce preziosa, specie di fronte a un’opinione pubblica rassegnata al peggio. Eppure non mancano, nemmeno in questi tempi calamitosi, iniezioni di ottimismo che merita segnalare. A partire, ovviamente, dal comportamento dignitoso del Paese di fronte al contagio del Covid-19, un’emergenza che l’Italia sta fronteggiando meglio di altri Paesi per tradizione più avanti.



In questa cornice, la notizia che finalmente il Mose ha protetto Venezia dalle acque ha avuto relativamente scarsa eco. Certo, la notizia non cancella mezzo secolo di scandali, tangenti e ritardi il più delle volte criminali. Ma tutto questo non assolve il critici per principio, i soloni che per anni hanno imperversato sui giornali spiegando che l’opera non avrebbe ma funzionato. Una genia di intelligenti che accompagna, da uccelli del malaugurio, ogni progetto di sviluppo del Paese, con esiti nefasti. Vedi il fuoco di fila contro la Tav o lo sviluppo della rete viaria attorno a Genova, esempi dell’incapacità di progettare la crescita.



Ma i casi virtuosi non mancano. Certo, il ritardo accumulato nel digitale e nella banda larga gridano vendetta. Ma, d’altro canto, l’Italia, quasi all’insaputa, è ormai nel plotone di testa delle energie rinnovabili ma anche nelle tecnologie legate allo sfruttamento dell’idrogeno. Il Regno Unito ha scelto l’Eni per realizzare un progetto nazionale di stoccaggio di gas serra, in cui confluirà la CO2 prodotta da un gran numero di impianti industriali. E tra le sfide più ardite ma più sensate promosse dalla Snam figura il progetto di fare entro pochi anni fa dell’Ilva un grande bacino di stoccaggio dell’Idrogeno.



Nel frattempo, in settimana gli analisti di Citi hanno promosso Enel a leader mondiale della sostenibilità, premiando il gruppo pubblico che è salito al secondo posto nel mondo per valore di Borsa tra le utilities. E a proposito di mercato finanziario, non si può trascurare l’uscita di Borsa italiana dal perimetro del London Stock Exchange per approdare, con dignità di partner, all’interno di Euronext. Nel 2007 le banche improvvidamente cedettero il controllo di Borsa Italiana al London Stock Exchange sperperando il tesoretto ereditato dal Tesoro che l’aveva ceduto loro per 158 miliardi di vecchie lire in guerricciole domestiche (ricordate l’estate dei furbetti?).

Basta così. Non è il caso di esaltarsi o di nascondere i guasti dell’Italia di oggi. Ma di prendere atto che il Paese è più sano e più forte di quanto non appaia a prima vista. Alla faccia di qualunquisti e sovranisti.