Come ha spiegato il capo economista della Banca centrale europea Philip Lane in un’intervista al Financial Times, sembra ormai certo che giovedì prossimo il Consiglio direttivo approverà un primo taglio dei tassi di interessi dall’attuale massimo storico pari al 4,5%. Più difficile capire cosa accadrà il mese prossimo. Secondo il Governatore della Banca di Francia, François Villeroy, infatti, non si può escludere un altro taglio, mentre per Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della Bce, è necessario essere prudenti.



Intanto l’Eurotower ha fatto sapere che ad aprile le aspettative dei consumatori sull’inflazione a 12 mesi sono scese al 2,9% dal 3% di marzo, ai minimi dal settembre 2021. Invece nel primo trimestre dell’anno le retribuzioni oggetto di rinnovo contrattuale sono cresciute del 4,7% rispetto al +4,5% degli ultimi tre mesi del 2023. Abbiamo chiesto un commento a Massimo D’Antoni, professore di scienza delle finanze all’Università di Siena.



La presidente della Bce Christine Lagarde recentemente ha ricordato che le decisioni di politica monetaria vengono prese sulla base dei dati disponibili, tra cui anche l’andamento dei salari. Come potrebbe incidere sulle scelte dell’Eurotower il fatto che nel primo trimestre dell’anno quelli negoziati sono aumentati più che nel trimestre precedente?

Ho letto da più parti che questi dati vengono letti con una certa preoccupazione in vista della prevista e auspicabile riduzione dei tassi. All’Eurotower, tuttavia, sanno bene che la dinamica dei salari non è mai lineare e uniforme. Gli aumenti salariali sono spesso negoziati e avvengono in modo discontinuo. Gli analisti devono saper astrarre da variazioni temporanee o effetti ritardati per individuare la sottostante dinamica di medio periodo. Le stime effettuate con alcuni indicatori sviluppati dai tecnici della Bce trattano l’aumento nel primo trimestre come un segnale che non compromette le previsioni di moderata riduzione per il 2024, dunque penserei che certe preoccupazioni dei commentatori sono eccessive.



La settimana scorsa la Bundesbank aveva segnalato una crescita dei salari superiore al previsto e ancora prima Isabel Schnabel aveva detto di ritenere appropriato un taglio dei tassi a giugno, ma di nutrire dubbi sulla necessità di ulteriori riduzioni successive (magari già a luglio o a settembre). Potrebbe quindi esserci un solo taglio dei tassi quest’anno?

Mi chiede qualcosa a cui non sono in grado di rispondere. Ma nella sua intervista al Financial Times Philip Lane ribadisce quanto dicevo: la tendenza è alla decelerazione del salari, il trend resta discendente. Al contempo il capo economista della Bce chiarisce che la strada per la normalizzazione è ancora lunga e per quest’anno l’atteggiamento dovrà restare prudente.

Quali effetti potrebbe avere questa prudenza sui Paesi come l’Italia dove l’inflazione è già ben al di sotto del target del 2%?

Auspichiamo tutti una riduzione dei tassi, perché è un bene per l’economia. Tuttavia, finché la dinamica salariale italiana resta inferiore rispetto a quella di altri Paesi, a cominciare dalla Germania, la tendenza ci favorisce. Ricordiamo che uno dei principali fattori che portarono alla crisi dei debiti sovrani era stato il guadagno di competitività della Germania rispetto ai Paesi periferici negli anni precedenti, dovuto a quella che è stata indicata come una “svalutazione interna”. Se ora la Germania si trova a “rivalutare” con una maggiore inflazione, ciò contribuisce a riassorbire gli squilibri interni all’eurozona. Non voglio dire che sia una bella cosa che gli squilibri dell’eurozona siano corretti dal mercato del lavoro, ma, ahimè, questo è il contesto nel quale ci muoviamo con l’adozione della moneta unica e in questo caso la tendenza favorisce l’Italia.

Pensa che a rallentare l’azione della Bce dopo giugno possa concorrere anche il fatto che la Fed non pare al momento intenzionata ad abbassare i tassi? Si teme un’eccessiva svalutazione dell’euro?

Indubbiamente il comportamento degli altri “giocatori” nel campo della politica monetaria è un fattore rilevante. Resta da capire se la svalutazione dell’euro sia un male e quale sia il punto in cui può essere considerata eccessiva.

Nel suo Rapporto sull’Italia diffuso la scorsa settimana, il Fmi ha chiesto di eliminare tutti i bonus e i sussidi ancora esistenti, comprese le garanzie sui prestiti, e portare l’avanzo primario al 3% del Pil. Cosa ne pensa?

Il rapporto del Fmi sull’economia italiana ha riconosciuto che le misure di stimolo degli anni scorsi sono responsabili della performance italiana, maggiore di quella degli altri Paesi europei. È chiaro che questa crescita ha avuto un costo in termini di budget, per cui anche il Fmi chiede un rientro delle misure temporanee. Nello stesso tempo il rapporto indica altri interventi, tra i quali anche un aumento della progressività delle imposte e la rimozione degli ostacoli al lavoro femminile, anche attraverso l’ampliamento della capacità degli asili, ecc. Il fatto è che nei giornali nazionali arriva sempre un sottoinsieme “selezionato” delle misure indicate da questo tipo di rapporti. Peraltro, gli orientamenti espressi dalle istituzioni internazionali non sono necessariamente neutrali, risentono di una specifica lettura dei problemi di un Paese, che è lecito non condividere.

Bisognerebbe rinunciare al taglio del cuneo fiscale come sembra suggerire il Fmi?

Il taglio del cuneo fiscale è la misura di politica economica più rilevante messa in campo da questo Governo. D’altra parte la sua efficacia come strumento di rilancio dell’economia è da sempre controversa. A mio avviso le risorse spese per questa misura avrebbero potuto essere meglio utilizzate, quindi da questo punto di vista concordo con il Fmi. Però non mi pare che il Fmi indichi impieghi alternativi di quella entità: suggerisce, se ben capisco, di concentrare le risorse in direzione dell’ottenimento di un avanzo primario del 3%. Insomma, più austerità, una linea che non mi sento di condividere.

Come vede l’Italia quest’autunno alle prese con la Legge di bilancio con due incognite circa le intenzioni della Bce e l’effettiva applicazione delle nuove regole del Patto di stabilità?

Ecco, più che delle opinioni del Fmi mi preoccuperei dei vincoli determinati dalle nuove regole di bilancio europee. Come sappiamo, sia l’intervento sul cuneo contributivo che la riforma fiscale sono provvedimenti che in misura consistente devono ancora trovare un finanziamento per diventare permanenti. Come intenda agire il Governo per rispettare a un tempo gli impegni presi con gli elettori e i vincoli di bilancio europei è la grossa incognita del prossimo autunno. Non credo che sarà facile.

(Lorenzo Torrisi)

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