Non sappiamo ancora, mentre scriviamo, come finirà la partita decisiva della Coppa europea tra Inghilterra e Italia; naturalmente tifiamo per gli azzurri che, tra l’altro, hanno anche il sostegno di Ursula von der Leyen, dell’allenatore spagnolo Luis Enrique, con gran gesto da vero hidalgo, e degli scozzesi che ci hanno scelto come vendicatori. Sappiamo però che vincere farebbe bene alle borse, quella di Milano, senza dubbio, ma anche quelle dell’Europa continentale rivali della City di Londra. Non basta arrivare secondi, perché l’Italia è già stata spesso seconda, non solo nel football, ma anche in economia. In politica, purtroppo non ha mai superato i quarti di finale, nonostante questa volta sembri avviata verso nuovi traguardi. 



Come affrontare gli inglesi a Wembley lo lasciamo a Roberto Mancini, nuovo Braveheart secondo The National, il giornale che sostiene gli indipendentisti scozzesi. Ma speriamo che la squadra sia in grado di mettere a frutto le sue istruzioni. Come superare la crisi economica e sanitaria ce lo dice Mario Draghi e anche in questo caso occorre augurarsi che la squadra lo segua, non solo quella di governo, non solo il parlamento, ma tutti gli altri giocatori di questa partita per la vita, i sindacati, le forze sociali, le imprese, gli insegnanti. Insomma, la squadra Italia al gran completo.



Il capo del governo ha mostrato di saperci fare. Ha tirato fuori le unghie sulla riforma della giustizia, un test chiave per lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza, minacciando persino le dimissioni e mettendo così il Movimento 5 Stelle con le spalle al muro. Ha applicato il suo metodo anche nelle nomine dei vertici Rai scegliendo come amministratore delegato Carlo Fuortes, l’economista che ha gestito al meglio grandi istituzioni culturali (dall’Auditorium all’Opera di Roma), e per la presidenza Marinella Soldi, una manager che viene da Vodafone e da Discovery. 



Notizie incoraggianti arrivano anche sulla riforma fiscale: il governo dovrà ancora metterci mano, tuttavia dalle commissioni finanze di Camera e Senato sono emerse indicazioni interessanti soprattutto per quel che riguarda la semplificazione dell’Irpef, la riduzione dell’aliquota media, il superamento dell’Irap e la revisione dell’Ires. Anche in questo caso esistono molte questioni aperte e divisioni tra le forze politiche, una nuova prova per il metodo Draghi. 

Ottimismo viene anche dalla congiuntura, quest’anno il prodotto lordo potrebbe crescere anche oltre i cinque punti percentuali, nulla di simile si era visto da parecchi decenni. Il rimbalzo c’è, superiore alle più ottimistiche previsioni, ma c’è anche il rischio che diventi una fiammata. Il primo ostacolo si chiama pandemia: non è finita e i comportamenti sociali non aiutano, soprattutto è ancora indietro la campagna vaccinale; nonostante i grandi passi avanti compiuti, quando a settembre riapriranno le scuole l’Italia non avrà raggiunto ancora l’immunità. È una spada di Damocle che pende sul capo di ogni Paese, rappresenta la prima delle tre principali debolezze della ripresa secondo quanto ha scritto l’Economist nel suo ultimo numero, ma in questo caso non vale il vecchio adagio mal comune mezzo gaudio. La seconda linea di faglia è l’incertezza della catena dell’offerta, sulla quale incidono anche i conflitti geopolitici soprattutto tra Usa e Cina. La terza ha a che fare con il progressivo, ma ineluttabile ritiro degli stimoli. 

L’enorme quantità di moneta stampata dalle banche centrali è il primo carburante della macchina economica. Ebbene, dal prossimo anno la benzina non sarà né così abbondante, né così a buon mercato. Gli stessi disavanzi pubblici cominceranno a contrarsi o quanto meno non potranno più allargarsi, quindi verrà meno l’altra fonte fondamentale. I governi, le imprese e le famiglie che si sono indebitate cominceranno a dover fare i conti della spesa. 

In questa cornice, il boom italiano può restare soffocato se la crescita non viene messa al primo posto dell’azione di governo e dei comportamenti collettivi. Più Pil per tutti, senza se e senza ma. Ne siamo davvero consapevoli? Accanto ai segnali positivi ce ne sono alcuni negativi che sollevano seri dubbi sulla possibilità dell’Italia di conquistare il campionato della ripresa. Pensiamo ai concorsi per la Pubblica amministrazione come quello per i tecnici al Sud (821 assunti su 2.800 posti) con una scarsa partecipazione e l’abbandono dei vincitori. Vengono a galla vizi antichi e problemi nuovi: non c’è dubbio, ad esempio, che la teoria e la pratica del sussidio sia un disincentivo determinante. O che si cerchi l’assunzione a tempo indeterminato non per tre-cinque anni, cioè l’orizzonte temporale del Pnrr. Ma emerge soprattutto un’altra linea di faglia che l’Economist non ha considerato: non mancano solo i chip, manca la forza lavoro preparata per realizzare in pieno la rivoluzione digitale e compiere così la grande trasformazione della quale tanto si parla. Non è un problema meramente italiano, ma qui è più grave perché l’Italia parte con un ampio handicap. 

Altro che arrivare primi, il rischio è di restare indietro se non si corre presto ai ripari, un rischio che non possiamo permetterci: abbiamo preso la fetta più ampia dei fondi europei, se non li utilizziamo al meglio il prezzo sarà pesante, anche il prezzo politico. È una lotta contro il tempo e contro la storia; Draghi ne è consapevole. È la sfida più grande e non possiamo perdere, non a Wembley (dove speriamo comunque oggi di vincere), ma in Italia.

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