Il controllo dei migranti in Libia si sviluppa sull’asse Italia-Turchia. È stato questo, infatti, uno degli argomenti trattati domenica nell’incontro fra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ankara esercita dal 2019 la sua influenza sull’area Ovest del Paese, intorno a Tripoli, nella quale il governo che fa capo a Dbeibah si sta indebolendo, perdendo sempre di più il controllo di un territorio in cui le milizie, mai scomparse, stanno riprendendo piede.
Per controllare i flussi migratori in aumento, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova, l’Italia deve rivolgersi a Erdogan, che invece può controllare le milizie da cui dipende l’aumento dei flussi migratori verso le coste italiane. Ma dovrà dialogare anche con Haftar, leader della Cirenaica, il cui potere invece sta crescendo anche in porzioni di territorio che prima erano appannaggio di Dbeibah. Proprio l’indebolimento di quest’ultimo, come anche l’abrogazione della legge sull’immigrazione clandestina in Niger, è uno dei motivi dell’aumento delle partenze verso le coste italiane.
La Turchia, però, può essere anche rivale dell’Italia: nella realizzazione del piano Mattei, che il governo presenterà a breve per favorire lo sviluppo dei Paesi africani, bisognerà tenere conto anche di Ankara, già presente in diverse nazioni del continente.
L’Italia è preoccupata di un aumento degli sbarchi dalla Libia. Come può influire la Turchia sul dossier migranti?
La Turchia può aiutare l’Italia sul dossier migratorio perché è in grado di dialogare con le milizie che si trovano a Tripoli e di influenzare le loro scelte ad Ovest, soprattutto nei punti in cui partono i migranti. Non si è ancora parlato del piano da attuare, comunque è possibile collaborare a livello di scambi informativi e di coordinamento nell’assistenza ai libici per il contrasto dell’immigrazione illegale.
Come è arrivata Ankara a esercitare la sua influenza a Tripoli?
La Turchia è presente in quell’area dal 2019, quando andò in soccorso del governo Sarraj, e gode di una grande fiducia tra le milizie nella zona di Tripoli, dove invece è sempre più debole il controllo del governo di unità nazionale di Dbeibah. Una presenza, quella turca, che, ci piaccia o no, dobbiamo accettare: siamo stati noi a rispedire al mittente la richiesta di aiuto di Sarraj quando Haftar voleva conquistare Tripoli. Allora la Turchia è entrata a gamba tesa e ha stretto importanti rapporti con le milizie, aggiudicandosi porti strategici come quello di Misurata e basi importanti all’interno del Paese. La Turchia è un interlocutore indispensabile per l’Italia non solo sul fronte migranti ma anche in quello del business e degli affari.
In cambio di cosa la Turchia può aiutare l’Italia?
Non c’è ancora niente di ufficiale, ma lo stesso Erdogan ha manifestato la volontà di chiudere un accordo sulla questione migranti, che preveda una triangolazione con la Libia. Un’intesa che potrebbe prevedere un partenariato più ampio, rilanciando una collaborazione con la Turchia su temi come l’energia e le esplorazioni in cerca di risorse energetiche al largo di Cipro. Una mossa di realpolitik che l’Italia si è trovata nelle condizioni di dover fare.
Quali sono i rapporti oggi fra Ankara e Tripoli e quanto Erdogan è in grado di influenzare Dbeibah?
Dbeibah è molto debole. A Tripoli ci sono scontri fra le milizie e in questo momento il primo ministro libico non ne controlla molte. Anzi, alcune di queste si sono avvicinate agli attori dell’Est del Paese, ad Haftar. In questo momento se mettessimo a confronto il peso di Erdogan e quello di Dbeibah la bilancia penderebbe verso il primo.
Per controllare i flussi serve, comunque, anche un’intesa con Haftar? E con quali altri interlocutori?
Sì, è necessaria un’intesa anche con Haftar: nell’ultimo anno sono aumentati gli sbarchi anche dalla Cirenaica. Si tratta soprattutto di egiziani che attraversano il confine con la Libia. In Egitto si soffre per la crisi energetica e per quella del grano. L’Italia e la Turchia possono fare da ponte con Haftar: Ankara è stata tra le prime a inviare squadre di soccorso in Cirenaica dopo l’alluvione di Derna dello scorso ottobre e non è un mistero che abbia interesse a sganciarsi dall’immagine di essere il garante solo della parte Ovest del Paese. Ha ambizioni di mediazione in generale in tutto il Nordafrica ma anche in Medio Oriente. Lo sblocco del grano dai porti ucraini ne è testimone perché in parte è andato proprio in quelle direzioni. Dall’altra parte c’è l’Italia di questo governo, che ha iniziato a dialogare con Haftar: nel maggio 2023 è venuto a Roma e ha avuto un colloquio con Giorgia Meloni anche sul dossier migratorio. Se mettiamo insieme questi elementi possiamo ipotizzare un gioco di squadra fra Italia e Turchia per raggiungere un’intesa anche con lui. Il traffico di migranti viene gestito dalle milizie armate anche in Cirenaica. Un ruolo importante lo ha il figlio di Haftar, Saddam, e le milizie a lui affiliate.
Perché ritorna il pericolo di un aumento dei flussi dalla Libia: è sintomo di un nuovo peggioramento della situazione del Paese che non riesce a riunificarsi e a darsi un’organizzazione?
L’aumento degli sbarchi di persone che partono dalla Libia è sintomatico di molti fattori. La diminuzione delle partenze dalla Tunisia da ottobre, grazie agli sforzi italiani, ha significato un aumento di quelle dalla Libia, tornata a essere un Paese totalmente destabilizzato, in gran parte in mano alle milizie, dove non si è riusciti a raggiungere un accordo per un percorso elettorale comune. Le milizie hanno bloccato giacimenti importanti come al Sharara e il gasdotto di Mellitah. Inoltre dopo il golpe in Niger è stata abrogata la legge 36 del 2015 contro l’immigrazione illegale, che aveva rallentato il passaggio dei migranti verso la Libia. Ora, invece, si sono riaperti i rubinetti anche dal Niger.
L’accordo con la Turchia nasconde anche delle insidie?
La Turchia potrebbe essere croce e delizia per noi. Penso all’applicazione del piano Mattei. Tra pochi giorni ci sarà la conferenza Italia-Africa in cui verranno esplicitate le linee del piano e Ankara vanta già una penetrazione molto forte, politica e commerciale, nei Paesi africani. Di questo dobbiamo tenere conto.
(Paolo Rossetti)
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