Il dato sul Pil del primo trimestre diffuso a inizio mese ha messo in luce una performance dell’economia italiana migliore di quella francese e tedesca. Anche le previsioni della Commissione europea indicano che il nostro Paese, sia quest’anno che il prossimo, crescerà più della media dell’Eurozona. Come ci spiega Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e Presidente del Centro Studi EconomiaReale di Roma e dell’ISTAO di Ancona, «occorre però evitare che questo profilo a breve positivo impedisca di vedere con chiarezza da dove veniamo e dove possiamo e vogliamo andare. In questo senso il XVII Rapporto del Centro Studi EconomiaReale offre numeri e proposte interessanti su cui riflettere».



Per esempio?

Abbiamo voluto ricordare che l’Italia è l’unico Paese dell’Ue che tra il 2000 e il 2019 ha visto ridotto il proprio Pil reale pro-capite. E dato che nel 2022 siamo tornati ai livelli pre-Covid, ora ci troviamo sotto la media Ue del 7% e a quella dell’Eurozona addirittura del 15%.

Abbiamo, però, la possibilità di continuare a far crescere il Pil nei prossimi anni grazie all’implementazione del Pnrr…



Il Pnrr è fondamentale, perché nella malaugurata ipotesi in cui non si riuscissero a utilizzare i fondi previsti non solo la crescita nei prossimi anni si attesterebbe intorno allo 0,5%, ma tornerebbe a crescere la disoccupazione. Tuttavia, il Pnrr può dare un impulso alla crescita nei prossimi due o tre anni, ma non basta. Già il Governo nel Def di aprile ha previsto, dopo il +1% del 2023 e il +1,5% del 2024, un rallentamento al +1,3% nel 2025 e al +1,1% nel 2026, ma secondo le nostre previsioni, si scenderebbe già al +0,9% nel 2024-25, per poi ripiegare verso lo 0% nel triennio successivo. Di fatto, torneremmo a quella crescita potenziale limitata e asfittica che abbiamo registrato negli ultimi 20 anni.



Possiamo evitare questa sorta di ritorno al “declino”?

Sì, nel Rapporto proponiamo una politica economica basata su quattro riforme strutturali: del fisco, della Pa, della giustizia e della concorrenza. Se realizzate quest’anno, il loro impatto sarebbe visibile già dal 2024, e porterebbero la crescita strutturalmente sopra il 2-2,5% all’anno. In questo modo, le condizioni di finanza pubblica del Paese migliorerebbero in tempi più rapidi.

Com’è possibile che queste riforme abbiano un impatto così importante?

Sono riforme strutturali che incidono sulla produttività totale dei fattori aumentando il reddito potenziale. Prima abbiamo parlato della caduta del Pil reale pro-capite italiano negli ultimi 20 anni. Bene, con un tasso di crescita superiore al 2-2,5% all’anno potremmo riportarci ai livelli medi europei nell’arco di uno o due decenni.

Questa nuova produttività totale dei fattori aiuterebbe anche l’economia a essere più al riparo dalle variabili esogene?

Certamente. Qualunque cosa succeda fuori dall’Italia, all’interno ci sarebbe questa nuova struttura in grado di sostenere la crescita.

Parliamo allora di queste quattro riforme strutturali. Per esempio, di riforma fiscale si è tornati a parlare proprio in questi giorni…

L’idea del Governo di arrivare a tre aliquote per l’Irpef va bene, ma gli scaglioni devono essere larghi. Noi proponiamo un’aliquota del 23% fino a 50.000 euro di reddito, del 33% da 50.000 a 100.000 euro e del 43% sopra i 100.000 euro. La stima dello sgravio fiscale in questo caso è di circa 40 miliardi di euro, con una totale copertura tramite una revisione delle tax expenditures, intervenendo su quelle a più alto rischio di sprechi e malversazioni, e una lotta all’evasione basata su controlli analitici e incroci di banche dati. Abbiamo poi ipotizzato una riduzione di circa 20 miliardi del carico fiscale per le imprese.

In che modo?

Tramite l’abolizione totale dell’Irap oppure con tagli consistenti al cuneo contributivo. In questo secondo caso, però, prevedendo una compensazione per i lavoratori in modo da evitare una riduzione delle future pensioni. Abbiamo ipotizzato, quindi, che questo sgravio contributivo vada coperto con una pari riduzione dei contributi a fondo perduto che a oggi, tra conto corrente e conto capitale, risultano essere attorno ai 60 miliardi di euro all’anno.

Riguardo invece le altre tre riforme strutturali?

La riforma della Pa deve prevedere una totale innovazione tecnologica al servizio dei cittadini, un ricambio generazionale dei dipendenti e, soprattutto, l’indicazione del responsabile del procedimento al quale il cittadino o l’impresa può rivolgersi direttamente senza passare da un call center. La riforma della giustizia deve essere sia penale che civile. Riteniamo che il punto nodale, a parte la questione dell’abuso d’ufficio, sia la separazione delle carriere e la previsione di due distinti Csm. Infine, per quanto riguarda la concorrenza, tutti parlano di balneari e tassisti, ma nessuno ha chiesto ancora conto all’Antitrust del palese abuso di potere di mercato che ha consentito alle imprese energetiche di incamerare 100 miliardi di extraprofitti giustificandosi con il brusco rialzo del Ttf di Amsterdam. Qualcosa andrà per forza rivisto nel funzionamento dell’autorità garante.

Torniamo al Pnrr. C’è chi ritiene necessario richiedere all’Ue una proroga sulla realizzazione dei progetti. Cosa ne pensa?

Credo occorra fare un ragionamento di buon senso e lavorare sodo per realizzare i progetti. Se da qui al 2026 saranno ben avviati e in gran parte realizzati non sarà troppo difficile ottenere dalla Commissione europea un proroga al 2028, ma non bisogna avviare già adesso questa trattativa.

(Lorenzo Torrisi)

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