Oltre agli azionisti c’è di più. Per creare valore bisogna guardare anche all’impatto ambientale, al rispetto dei clienti e alle condizioni dignitose offerte ai dipendenti. Finalmente lo hanno capito anche le grandi multinazionali americane aderenti al Business Roundtable.
Il 29 luglio scorso è stato l’overshootday. Ciò ha significato aver consumato le risorse di un anno sulla Terra. La Siberia e l’Amazzonia, due dei polmoni verdi del pianeta, continuano in questi giorni a bruciare. Non avendo un “Pianeta B”, è fondamentale correre ai ripari quanto prima e ridurre la deforestazione così come combattere le emissioni di carbone nell’atmosfera.
In questo periodo storico particolare per il nostro pianeta, afflitto da problematiche ambientali e sociali, le imprese prendono in mano la situazione, al contrario dei nostri governanti, manifestando la loro volontà di dare priorità al benessere della società civile.
Le priorità delle società e dei suoi amministratori non dovranno essere più solo gli azionisti e il valore delle azioni delle società da loro dirette, ma nelle decisioni aziendali occorrerà considerare anche il benessere dei loro dipendenti, e non solo il perseguire il massimo dei profitti. La dichiarazione firmata dal Business Roundtable manda pertanto in pensione il mantra degli azionisti, che ha guidato il capitalismo americano e mondiale per decenni, sulla scia dell’economia liberista e monetarista decantata da Milton Friedman.
Il Business Roundtable, nel suo documento, afferma che gli azionisti vanno considerati alla pari dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e delle comunità in cui si opera (gli stakeholder). Le aziende devono proteggere l’ambiente e trattare i dipendenti con dignità e rispetto nel perseguire profitti di lungo termine. In tal modo si abbandona l’idea di un’economia liberale per avvicinarsi all’idea, messa all’angolo per decenni, dell’altro grande economista Maynard Keynes, ovvero quella di un’“economia sociale di mercato” che sostiene la creazione di valore di lungo periodo e non solo portare dividendi ai propri azionisti.
Per decenni le aziende hanno spostato fabbriche, delocalizzato produzioni, minimizzato il prelievo fiscale spostando sedi legali nei Paesi a fiscalità più vantaggiosa, chiesto flessibilità sul lavoro senza limiti. Scelte di questo tipo non sono più un vantaggio, ma elementi negativi che a lungo andare danneggiano il business.
Oggi invece è necessario investire nel personale e nelle loro comunità e solo così si potrà avere successo nel lungo termine. Non basta perseguire il profitto costi quel che costi. L’attenzione al profitto deve rimanere, ma dovrà essere solo una delle linee guida: occorrerà porre l’attenzione alla creazione di valore e non sottraendolo alla collettività. Bisogna guardare al lungo periodo, e non all’immediato.
Con questa dichiarazione, le imprese statunitensi firmatarie si impegnano a:
• offrire valore ai propri clienti. Promuovendo la tradizione delle aziende americane all’avanguardia nel soddisfare o superare le aspettative dei clienti;
• investire nei dipendenti, a partire da compensi equi e supportandoli attraverso la formazione e l’educazione per sviluppare nuove competenze per un mondo in rapido cambiamento;
• promuovere la diversità e l’inclusione, la dignità e il rispetto;
• trattare in modo equo ed etico con i fornitori. Diventare buoni partner per le altre società, grandi e piccole, che aiutano a soddisfare gli obiettivi aziendali;
• supportare le comunità in cui lavorano. Rispettare le persone nelle comunità e proteggere l’ambiente adottando pratiche sostenibili in tutte le attività.
Last but not the least, così come previsto dai 17 SDGs dell’Agenda 2030, l’attuazione degli altri obiettivi richiede una stretta collaborazione tra governi, imprese e società civile, un’azione sinergica, collaborativa e proattiva da parte di tutti gli attori dello sviluppo sostenibile.
L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, definisce questa svolta come “capitalismo inclusivo”, in cui risulta essere fondamentale interagire con tutti coloro coinvolti nell’attività di impresa.
Ma già nel mese di giugno diverse organizzazioni, tra cui l’ASviS, Wwf, Fairtrade e Legambiente, hanno chiesto all’Europa, mediante una Lettera della società civile ai Capi di Stato Ue, un futuro migliore orientato sul benessere.
La società civile chiede a gran voce l’attuazione dell’Agenda 2030, che deve diventare il principale driver strategico per le politiche comunitarie dei prossimi anni, poiché la volontà di agire è presente tra i cittadini, ma manca quella politica. “La società si aspetta che siano gli adulti a educare i bambini, ma sta accadendo il contrario”, si legge in apertura della lettera, “i ragazzi con le loro manifestazioni chiedono politiche di contrasto al cambiamento climatico alla classe dirigente e invocano maggiori diritti e giustizia socio-economica”.
Tali richieste, secondo recenti sondaggi, trovano un consenso tra gli europei con un diffuso bisogno di giustizia sociale e ambientale. Si chiede di agire subito su clima e giusta transizione, di aumentare la propria ambizione sulle questioni ambientali, orientando al tempo stesso i finanziamenti per quei settori in grado di consentire il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
L’Europa deve mettere al centro delle strategie del prossimo quinquennio l’Agenda 2030 per rendere lo sviluppo sostenibile la priorità dell’Unione, creare non solo prosperità tra la popolazione ma maggiore competitività per le aziende, come dimostrano le scelte virtuose compiute negli ultimi anni da diversi attori del mercato globale.
Fondamentale è smettere di guardare l’economia semplicemente come un mezzo per creare “prosperità” e “competitività”, ma come uno strumento per promuovere società inclusive, sostenibili e giuste per soddisfare i bisogni di tutti. La società civile lavora su temi sociali, ambientali, economici, di governance e internazionali i leader politici dovrebbero guidarci verso un futuro migliore privilegiando il benessere delle persone e del pianeta rispetto ai guadagni a breve termine.
Uno dei nuovi modelli di business applicabili che possa rispondere ai nuovi bisogni dell’economia reale e della società, e contribuire così al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, è quello delle cosiddette Società Benefit (SB). Si tratta di un nuovo status giuridico di enti for profit introdotto in Italia con la Legge di Stabilità 2016, sulla scia dell’esperienza americana. L’Italia è il primo Paese in Europa a dotarsi di uno strumento normativo nel settore. Essere società benefit consente all’impresa, oltre che di massimizzare il profitto, anche di raggiungere uno scopo di beneficio comune, così come fissato nel proprio statuto.
A inizio agosto, si è svolto a Losanna il vertice “Smile For Future”, durante il quale si è adottata una Dichiarazione sul clima. I giovani partecipanti hanno affermato la loro unità d’intenti e la loro volontà di cambiare il mondo dal punto di vista ambientale. Per passare dalle parole ai fatti è stata lanciata un’iniziativa dei cittadini europei (ICE) per cambiare il mondo e renderlo migliore per tutte le generazioni future. Tale iniziativa – «Azione per l’emergenza climatica», questo il nome – dovrà raccogliere almeno un milione di firme in un anno e si pone quattro obiettivi principali.
Il primo obiettivo è ridurre le emissioni di gas serra nell’Ue dell’80% entro il 2030 e avere impatto zero dal punto di vista climatico nel 2035. Attualmente, l’Unione europea vuole diminuire le emissioni del 40% entro il 2030.
Secondo obiettivo è quello dell’introduzione di una tassa sul carbone alle frontiere per limitare le importazioni.
Il terzo punto, invece, riguarda i trattati commerciali: secondo l’ICE, l’Ue dovrebbe firmare accordi solo con i Paesi che aderiscono all’obiettivo – fissato dall’Accordo di Parigi sul clima – che ambisce a un aumento di soli 1,5 gradi come limite per il riscaldamento climatico entro il 2100.
Inoltre, l’ICE chiede che l’Ue produca materiale educativo gratuito in cui si spiega cosa è l’emergenza climatica e quali sono le possibili soluzioni.
Vi sono anche 28 aziende con una capitalizzazione totale di 1,3 trilioni di dollari, tra cui Enel, unica azienda italiana, ad aver sottoscritto l’impegno dell’Onu per la riduzione delle emissioni di CO2 al 2050 in vista del Climate Action Summit del 23 settembre 2019.
Le aziende si sono impegnate a rispettare il limite massimo di aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali e al raggiungimento delle emissioni zero entro il 2050 e contribuire così al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Il piano di queste grandi compagnie prevede, tra le varie iniziative, che le più grandi industrie inquinanti dovranno intraprendere cambiamenti radicali; le energie rinnovabili dovranno fornire dal 70 all’85% di energia entro il 2050; le industrie ad alta intensità energetica dovranno ridurre la loro CO2 dal 75 al 90% entro il 2050 rispetto al 2010, se si vogliono rispettare gli 1,5 gradi.
L’auspicio è che nel prossimo futuro tanti altri imprenditori adottino misure rivolte ad uno sviluppo sostenibile. Le imprese oggi fanno quello che dovrebbero fare, la politica continuando a esser miope di fronte a un modello di capitalismo che invece di generare valore lo estrae, e sostituisce al profitto la rendita.
Finalmente, dopo dieci anni, viene prestata attenzione anche all’invito previsto nell’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”, vergata il 29 giugno 2009, là dove si legge: “Il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo quanto sul come utilizzarlo. L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà”. E ancora: “I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani”.