In settimana l’Italia dovrebbe ricevere le prime risorse derivanti dal Recovery fund, pari a 24,9 miliardi di euro. Il 23 agosto dovrebbe invece diventare effettiva la nuova allocazione del Diritti speciali di prelievo (Dsp) approvata dalla compagine azionaria del Fondo monetario internazionale lo scorso 2 agosto. Si è parlato poco nel nostro Paese di questa emissione, del valore pari a 650 miliardi di dollari, finalizzata a contrastare gli effetti economici della pandemia. Ancor meno del fatto che all’Italia spetterà poco più del 3% dei Dsp complessivi, equivalenti grosso modo a 20 miliardi di dollari. Come ricorda Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fmi, che da tempo segue questi temi e che l’anno scorso, insieme all’ex segretario al Tesoro britannico Jim O’Neill, aveva proposto, approfondendo il tema anche sulle nostre pagine, un’emissione di Dsp, «quella approvata a inizio mese è una “mega-emissione”. La precedente, risalente al 2009 per contrastare gli effetti della crisi finanziaria internazionale, era stata infatti pari a circa 190 miliardi di euro, mentre ora parliamo di circa 550 miliardi di euro».



Come si è arrivati a questa mega-emissione?

La Direttrice generale Georgieva già da marzo aveva avviato delle consultazioni informali tra i 190 Paesi membri del Fondo monetario internazionale. A fine giugno ha ottenuto l’approvazione da parte del Consiglio direttivo e la risoluzione è stata immediatamente inoltrata ai rappresentanti dei Paesi membri. Così il 2 agosto è arrivato il via libera da parte del Consiglio dei governatori del Fmi. Se ci concentriamo solo sull’iter formale, in sostanza in poco più di un mese la comunità internazionale, grazie all’azione efficace della Direttrice generale del Fondo, è riuscita ad approvare questa operazione. Sono stati così smentiti quanti un anno fa sostenevano che l’emissione di Dsp avrebbe richiesto troppo tempo.



Perché dei Dsp si è parlato così poco?

I Dsp hanno un potenziale significativo, ma a volte per la loro complessità tecnica tale potenziale non viene pienamente apprezzato dai decisori. C’è anche da dire che l’articolo 8.7 dello Statuto del Fmi sottolinea il carattere di principale attività di riserva mondiale del Dsp, ma nonostante questo hanno sempre avuto un ruolo marginale. Eppure hanno anche una caratteristica importante.

Quale?

Non sono un gioco a somma zero. Normalmente, infatti, se un Paese concede un prestito a un altro Paese deve privarsi di risorse che potrebbe usare diversamente. Con i Dsp ciò non avviene. Si tratta di risorse addizionali che vengono create ex novo: pertanto non presentano alcun conflitto distributivo. Tutti i Paesi beneficiano di questa emissione in ragione della propria quota capitale del Fmi.



Compresa l’Italia, eppure, salvo l’eccezione della lettera di Giorgia Meloni al direttore del Corriere della Sera pubblicata ieri (“I diritti speciali di prelievo e l’occasione persa dall’Italia”), non se ne parla.

L’Italia ha una quota pari al 3,167% del capitale del Fmi, quindi le spettano Dsp per circa 20 miliardi di dollari, pari a 17 miliardi di euro. Mi lascia un po’ perplesso il fatto che sulla stampa italiana si sia parlato poco della decisione raggiunta in seno al Fmi e quando lo si è fatto non sia stata data notizia di questa somma che arriverà all’Italia, per di più, cosa non certo irrilevante, senza condizioni e senza alcun costo. Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia, oltre un anno fa aveva fatto la sua proposta sul piano politico per ritornarci, come Lei ha notato, proprio ieri sempre sulle colonne de Il Corriere.

Si parla tanto invece dei circa 25 miliardi del Recovery fund, a differenza dei quali i Dsp possono essere utilizzati come meglio si crede e sono addizionali…

Esattamente. Non c’è in Italia un dibattito su questo tema. Paradossalmente se n’è parlato quando c’è stata la proposta di questa mega emissione oltre un anno fa, ma ora che i Dsp arrivano non c’è nessun dibattito sul loro utilizzo. 

Ha ricordato un punto importante: questa emissione di Dsp è stata presentata come un sostegno ai Paesi poveri…

Quando invece ai Paesi poveri andrà il 3% circa di questa allocazione….

E infatti il G7 ha proposto di redistribuire una parte della propria quota a questi Paesi. Un impegno che comunque lascerebbe disponibili dei Dsp di propria spettanza all’Italia.

Sì, l’impegno del G7 sarebbe di redistribuire 100 miliardi di dollari di Dsp a favore dei Paesi poveri. Nessuna obiezione naturalmente, ma sarebbe comunque opportuno che decisioni di questo tipo nascessero all’interno di un dibattito. Mediaticamente non si ha notizia, tranne qualche eccezione, che dal 23 agosto arriveranno queste risorse e nessuno ci sta dicendo come verranno utilizzate sia in Italia, sia come eventuali aiuti a Paesi terzi.

Parlando di altre risorse disponibili per il Paese, a luglio il saldo di Tesoreria ha superato i 100 miliardi di euro, arrivando a quota 102,79. Come si spiega questa considerevole quantità di risorse inutilizzate?

Passata di fatto la fase acuta dell’emergenza, che forse poteva spiegare un accantonamento prudenziale, il livello persistentemente alto del saldo di Tesoreria sta assumendo dei caratteri patologici, perché, da un lato, abbiamo un Paese che soffre, lacerato dalla crisi pandemica, i cui effetti economico-finanziari non sono ancora del tutto chiari e visibili, ma lo diventeranno nei prossimi mesi, e, dall’altro, un tesoretto che continua a crescere senza che nessuno abbia mai dato una chiara spiegazione del perché ciò avvenga. Anche su questo credo sarebbe opportuno un dibattito, un approfondimento per chiarire se alla base di questo ammontare anomalo non ci siano delle dinamiche patologiche ed eventualmente correggerle.

A determinare il saldo sono i ricavi da emissioni di titoli di Stato e le entrate dell’erario?

Sì. Chiaramente ci possono essere asincronie per cui in un mese occorre rimborsare di titoli di stato in scadenza, o al contrario arriva maggiore liquidità da scadenze fiscali o da una nuova emissione, ma si tratta di dinamiche che si manifestano periodicamente ogni anno e per questo note. Il punto è che questo saldo sta registrando livelli anomali persistenti. Il livello più basso quest’anno è stato di 66,6 miliardi, un terzo superiore rispetto al saldo dello stesso mese del 2020. Quello che trovo un po’ strano, che non mi riesco a spiegare da economista, è come mai questi fatti, la mega-emissione del Fmi e saldo di Tesoreria a livelli anomali, fatichino a entrare nel dibattito mainstream nonostante la loro importanza. 

Da quello che ha detto prima sulla situazione del Paese, dietro alla crescita del Pil che è stata registrata e si prevede per l’anno c’è una realtà piuttosto variegata.

Sì. Chiaramente c’è un effetto di rimbalzo di cui l’Italia ha beneficiato, grazie anche a politiche fiscali e monetarie iper-espansive, ma al di là di questa spinta abbiamo un’economia fatta di micro imprese e micro imprenditori che stanno attraversando un momento di crisi senza precedenti. Dobbiamo fare un salto di qualità nel dibattito, passare dai macro numeri, che di recente hanno indicato dei miglioramenti anche significativi, all’esame delle micro realtà per vedere come stanno i micro imprenditori. Chi l’ha fatto sa benissimo che vivono una situazione di incredibile disagio. E non attivare tutti gli strumenti di cui disponiamo per venire loro incontro rischia di amplificare questo disagio. Che può avere conseguenze sul tessuto economico-sociale pesanti.

Avrebbe anche poco senso che il saldo di Tesoreria venisse tenuto buono come fondo a cui attingere a fine anno per far quadrare i conti pubblici.

Vorrebbe dire avere un Paese coi numeri in ordine, ma l’economia a pezzi. Occorre evitare che ci sia un intervento chirurgico tecnicamente riuscito, ma a cui il paziente non sopravvive. Bisogna fare attenzione non solo ai numeri dell’economia, ma anche ai fatti, alle persone, alla società nell’ambito della quale i fenomeni economici poi si generano e si manifestano, alle micro realtà dove operano le nostre micro imprese, che sono un tratto distintivo del nostro sistema sociale ed economico. Il dato macro rischia purtroppo di non cogliere in modo corretto la reale situazione del contesto economico sottostante.

(Lorenzo Torrisi)

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