Domenica si è celebrata la Giornata nazionale per la vita. In questo momento però non sembra che la vita sia molto di moda. A meno che per vita non si intenda la “bella vita”, la vita comoda e tranquilla a cui tutti, in fondo in fondo, aspiriamo.

Certo ci sono in gioco i grandi temi: i morti in guerra, l’eutanasia, l’aborto.



Dei morti vittime della guerra, civili o militari che siano, sempre morti ingiustamente, si parla ormai più che altro come dato statistico. Sembrano ormai troppi per occuparsi della storia personale di ciascuno di loro e dello strazio dei loro cari.

Sull’aborto si sta ricreando un fronte a difesa dell’aborto, come difesa di qualcosa che dovrebbe risolvere problemi che, secondo me, probabilmente sarebbero risolvibili in altro modo. Anche perché proprio a questo scopo era destinata una parte della legge oggi in vigore in Italia, la 194. Su posizioni contrarie c’è chi si sente chiamato a difendere i principi non negoziabili. E se i principi sono giustamente non negoziabili, ad esempio sull’obiezione di coscienza, sulle conseguenze pratiche della questione – almeno quelle che riguardano la prevenzione – direi che sarebbe proprio il caso di trovare una forma di collaborazione anche con i “nemici”.



Sull’eutanasia, in un certo senso inventata su larga scala da un certo Adolf Hitler, naturalmente a fin di bene, si comincia a discutere e a legiferare. Per lo più passa l’idea che la Chiesa si opponga all’eutanasia perché, come la scellerata natura di Giacomo Leopardi, sembra godere delle sofferenze dei suoi figli.

In verità credo che molti, anche tra i fedeli – questo per colpa dei preti – non abbiano mai letto quello che dice il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2278) che ora ripropongo: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi, può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’‘accanimento terapeutico’. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente”.



Poi ci sono i caduti in guerra, ed in altre forme di violenza. Questi, si dice, da Caino in poi ci saranno sempre. È vero, la storia ce lo insegna, anche attraverso libri di testo che sembrano parlare più di guerre che non di come si viveva fra una guerra e l’altra. Anche su questo punto bisognerebbe riscoprire quei tentativi, come quello che fu in atto nel nostro Paese dopo la Seconda guerra mondiale, di promuovere la riconciliazione e la pace. Da italiano vero sto cominciando ad apprezzare sempre di più quei don Camillo e quei Peppone che oggi ci mancano tanto.

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