Strano Paese il nostro. La prospettiva di una ripresa economica più consistente del previsto sta rivitalizzando la domanda di lavoro in molti ambiti delle attività economiche, in particolare del settore delle costruzioni e dei comparti dei servizi che avevano registrato una forte contrazione delle assunzioni in coincidenza delle misure di distanziamento adottate nel corso dell’emergenza Covid, ma le imprese interessate segnalano crescenti difficoltà nel reperire le risorse umane con i requisiti professionali richiesti.



Nonostante ciò, il dibattito politico rimane ossessivamente concentrato sulla richiesta di prolungare il blocco dei licenziamenti, che nella sostanza equivale a trasferire a carico dello Stato i costi del sostentamento dei posti di lavoro privi di prospettiva economica. Con l’obiettivo sostanziale di allungare in questo modo la possibilità di cumulare la cassa Covid con quella ordinaria, e la successiva indennità di disoccupazione, o il prepensionamento per i lavoratori anziani prossimi all’età di pensione con l’utilizzo dei contratti di espansione che prevedono tale possibilità, per le aziende sopra i 100 dipendenti.



In un recente articolo abbiamo cercato di documentare come i sostegni al reddito, soprattutto se molto generosi e prolungati nel tempo, disincentivano la ricerca di nuove opportunità di lavoro. Non è affatto un elemento trascurabile per il buon funzionamento delle politiche attive per il lavoro (di seguito PAL), dato che quasi tutto l’arco politico, oltre che entrambe le parti sociali, per ragioni opposte (la necessità di estendere l’utilizzo dei sostegni al reddito da parte dei sindacati, e l’esigenza di ridurre il personale senza particolari tensioni sociali da parte delle imprese), sostiene la necessità di ampliare la platea dei beneficiari sulla scorta delle esperienze maturate nel corso dell’emergenza sanitaria. Nell’articolo citato abbiamo anche sottolineato come le motivazioni dei divari riscontrati tra la domanda e l’offerta di lavoro non possano essere solo ricondotte all’utilizzo improprio e assistenziale dei sostegni al reddito.



Le periodiche indagini svolte dal sistema Excelsior-Unioncamere, su mandato del ministero del Lavoro, che evidenziano la quantità e la qualità delle assunzioni previste dalle imprese, offrono una spiegazione articolata delle varie cause che motivano le difficoltà di reperimento dei profili richiesti dalle imprese per settori, aree aziendali, qualifiche, oltre che per età, genere e territorio. L’indagine relativa alle previsioni per il mese di maggio e per il secondo trimestre del 2021 conferma la ripresa delle assunzioni da parte delle imprese, ma una crescente difficoltà nel reperire i profili richiesti nel mercato del lavoro spalmata sull’intero universo delle tipologie professionali. Da quelle di difficile reperibilità identificate con le qualifiche elevate e che richiedono percorsi formativi impegnativi (con percentuali che oscillano tra il 40% e il 70%) agli operai specializzati in vari campi e al personale qualificato nelle varie aree dei servizi tra il 30% e il 40%) per arrivare alle mansioni poco qualificate (poco meno del 20%). Dietro la definizione “di difficile reperibilità” si celano pertanto una serie di motivazioni, l’elevata carenza di alcuni profili nel mercato del lavoro, in particolare per le cosiddette professionalità STEM (scientifiche, tecnologiche, ingegneria, e matematiche) e per il personale tecnico di elevata qualificazione, più contenute in termini di numeri assoluti ma molto rilevanti in termini di impatto nelle attività produttive, a quelle legate alle specializzazioni acquisite sul campo e che richiedono un’adeguata esperienza nei settori e nelle specifiche mansioni e un’attitudine a coordinare altri lavoratori che soffrono un problema di ricambio generazionale, e alla scarsa disponibilità di una parte consistente delle persone che cercano lavoro nell’accettare lavori meramente esecutivi ma che comportano un certo disagio in termini di fatica e di svolgimento degli orari di lavoro.

Un universo molto complesso di professioni e mansioni che nell’insieme, secondo l’indagine Excelsior, comporta un sottoutilizzo pari al 31% delle potenzialità occupazionali, oltre le 350 mila unità sul complesso di 1,270 milioni di possibili assunzioni, per il secondo trimestre del 2021. Un divario che rischia di ampliarsi, secondo i ricercatori di Excelsior e delle Agenzie del lavoro private, in relazione alla ripresa della domanda e alla richiesta di competenze digitali che vengono richieste in modo trasversale per il 60% delle nuove assunzioni. Significativo il fatto che per le assunzioni previste per i giovani, il 28% del totale, le percentuali della difficoltà di reperimento aumentano per tutte i profili richiesti.

Sui mass media impazzano gli allarmi delle associazioni delle imprese, e di singoli datori di lavoro, che denunciano l’impossibilità di trovare ingegneri, progettisti, tecnici per la gestione di processi e contenuti, elettricisti, carpentieri, conduttori impianti e di mezzi, cuochi o semplicemente camerieri, tanto per citare alcune tra le miriadi di professioni difficili da reperire, ma anche di personale per gestire la ripresa delle attività stagionali e dei servizi che hanno sofferto le conseguenze economiche peggiori delle misure anti-Covid.

Per la brevità dello spazio disponibile non ci addentreremo nei singoli aspetti del problema. In questa sede preme evidenziare l’inconsistenza della pretesa di affrontare questi ritardi con un’improvvisata politica del lavoro basata sull’ampliamento degli ammortizzatori sociali, gli incentivi per le assunzioni distribuiti per l’universo mondo, i vincoli introdotti negli appalti pubblici per assumere giovani e donne, affidando la risoluzione dei problemi a dei giovani navigator neo assunti nei Centri pubblici per l’impiego, o programmando consistenti nuove quote di immigrati con bassa qualificazione per sopperire ai lavori che non vogliono fare gli italiani.

È necessario comprendere che in questo ambito i risultati sono sempre il frutto di investimenti, e di comportamenti coerenti, che vanno perseguiti in un orizzonte di medio lungo periodo. Il successo delle PAL dipende dall’efficacia degli interventi promossi in due principali ambiti: le azioni finalizzate a incrementare l’occupabilità delle persone; la capacità di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro.

Il primo caratterizzato dal complesso delle misure rivolte a migliorare le competenze dei lavoratori e che producono effetti nel medio lungo periodo: i percorsi formativi rivolti a incrementare la quantità e la qualità delle specializzazioni (discipline universitarie, tecniche, professionali); la formazione continua finalizzata all’aggiornamento, la formazione in ambito aziendale finalizzata all’inserimento lavorativo; dalle misure che favoriscono la conciliazione tra carichi lavorativi e quelli familiari. Da non trascurare in questo ambito l’importanza dei percorsi educativi e del sistema dei valori che devono connotare i comportamenti delle persone che cercano il lavoro.

Il secondo dagli interventi rivolti a migliorare la qualità dei sistemi informativi e i servizi di orientamento e di intermediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro, chiamati in questo caso a produrre effetti immediati nel mercato del lavoro in termini di riduzione del numero dei disoccupati. Ma è del tutto evidente che l’efficacia del secondo pilastro dipende in buona misura dagli interventi finalizzati a incrementare l’occupabilità delle persone, e dall’indispensabile esigenza che i diversi attori (amministrazioni, parti sociali, istituzioni formative, imprese, e intermediari dell’incontro domanda e offerta di lavoro) cooperino tra loro in modo permanente per migliorare la quantità e la qualità del mercato del lavoro.

Buona parte degli investimenti sulle PAL, in particolare quelli destinati a incrementare l’occupabilità delle persone, dipende essenzialmente dalla mano pubblica, perché perseguono finalità più ampie degli attori del mercato, ma la loro efficacia dipende dalla capacità di coinvolgimento di questi attori e dei soggetti intermedi che a vario titolo, come le famiglie e le rappresentanze sociali, concorrono a formare i valori e i comportamenti delle persone.

Questi passaggi ci aiutano a comprendere le distanze che intercorrono tra i fabbisogni reali e l’arretratezza delle nostre politiche del lavoro, che per diverse ragioni rimangono ancorate su approcci del tutto sovrastrutturali rispetto alle dinamiche del mercato del lavoro: la tentazione di governare le criticità con un sovraccarico costante di norme e di vincoli per le imprese, l’ampliamento della gamma dei sostegni al reddito come condizione per attivare le PAL, l’enorme spreco di risorse destinate agli incentivi per le assunzioni che producono effetti di breve periodo.

La criticità primaria è rappresentata dalla marginalità rivestita dagli interventi e volti a integrare con varie modalità i percorsi formativi con quelli lavorativi, e soprattutto la completa assenza di una governance tra i diversi attori, capace di farli dialogare in modo sistemico. Una carenza che produce l’effetto, che non ci stancheremo mai di rimarcare, di disperdere le risorse su una miriade di soggetti e di progetti gestiti in modo autoreferenziale. Il nostro è un Paese dove non scarseggiano buone pratiche, ma con i principali indicatori quantitativi e qualitativi del nostro mercato del lavoro che sono in costante peggioramento rispetto agli analoghi delle principali nazioni dell’Ue.

Ebbene, questo è ancora l’approccio prevalente che caratterizza le cosiddette riforme che dovrebbero accompagnare l’impiego di decine di miliardi dei fondi europei di diversa natura (Next generation Eu, Fse, Sure) destinati alle politiche del lavoro, senza nemmeno uno straccio di analisi sulle motivazioni dei risultati fallimentari anche recenti, e dove si sta pensando di utilizzare il reddito di cittadinanza come approdo di ultima istanza per i disoccupati che non trovano lavoro.

Con una cassetta degli attrezzi a malapena ancorata alle logiche della società industriale e del tutto disallineati dalle pratiche in atto negli altri Paesi europei, stiamo cercando di governare gli effetti di una rivoluzione digitale che sconvolgerà la gran buona parte dei comparti dei servizi, accelerando anche le dinamiche di terziarizzazione delle attività manifatturiere, e destinata, secondo una recente analisi sviluppata in ambito europeo, curata per l’Italia dall’Inapp, a rendere progressivamente obsolete le competenze per la metà dei lavoratori occupati.

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