Un brutale massacro, uno dei tanti che Kim Jong-un nella sua breve dittatura avrebbe compiuto, quello di funzionari impegnati nei fallimentari colloqui di Hanoi con Trump: l’inviato speciale giustiziato, il braccio destro del dittatore in un campo di rieducazione, diversi funzionari uccisi. Questa la notizia diffusa dai maggiori media mondiali nelle scorse ore, ma, come sottolinea Francesco Sisci, editorialista di Asia Times, già corrispondente de La Stampa a Pechino, se è vero che Kim Jong-un è il più spietato della dinastia di dittatori nordcoreani, è altrettanto vero che molte notizie su i suoi abusi e uccisioni si sono poi rivelate fasulle. Di fatto una purga ad alti livelli c’è stata, per incolpare i soliti “sudditi” delle colpe del dittatore, ma questo fatto, dice ancora Sisci, nasconde un messaggio per niente misterioso e molto significativo.



Violenze e punizioni per il fallimento del vertice di Hanoi, risalente ormai a mesi fa. Come mai adesso? C’è qualcosa dietro a questa notizia?

Personalmente non credo alla notizia diffusa in occidente di pene capitali e punizioni varie, spesso in passato si è scoperto che episodi di questo tipo non si erano mai verificati. Quello che è interessante è però che la notizia di questa epurazione sia stata data.



Perché?

Ci dice che da parte di Pyongyang è in atto una virata. Dopo il fallimento del vertice di Hanoi la Corea del Nord aveva ripreso la strada delle ritorsioni militari minacciando anche il ritorno ai test missilistici e di sospendere lo smantellamento del reattore nucleare di Yongbyon, l’unico del regime. Questa notizia, in cui il regime di fatto si prende la colpa del fallimento del vertice, ovviamente scaricando la colpa su dei funzionari, invece ci dice che ci hanno ripensato e si può tornare a parlare con gli americani. Alla fine questo è il messaggio contenuto nella notizia.

Il vertice di Hanoi però è saltato perché Trump aveva rifiutato di alleggerire le sanzioni economiche in cambio dello smantellamento del reattore di Yongbyon. Non è che il presidente americano dovrebbe mostrarsi un po’ più dialogante e cedere in qualche cosa?



Cosa sia andato storto veramente ad Hanoi non lo sappiamo. L’impressione dopo queste dichiarazioni è che ci siano stati ulteriori contatti fra americani e nordcoreani che hanno pazientemente tessuto lo strappo accaduto ad Hanoi. Tutto questo è importante in un momento di tensioni crescenti tra Stati Uniti e Cina.

Per quale motivo?

Ci dice che in qualche modo la Nord Corea sta cercando una strada diversa dall’allineamento supino a Pechino seguita fino a oggi.

In questo scenario arriva la notizia che il premier giapponese ha chiesto personalmente un incontro con Pyongyang, un fatto del tutto inedito. Cosa c’è dietro a questa richiesta?

Questo è un fatto molto importante ancor più significativo della notizia di cui abbiamo discusso. L’aspetto giapponese è sempre stato molto spinoso. I giapponesi hanno una antica questione aperta con Pyongyang: negli anni 70 e 80 ci furono molteplici rapimenti di loro cittadini, probabilmente spie, di cui non si è saputo più nulla e mai restituiti. C’è poi un partito filo-nordcoreano in Giappone che finanzia Pyongyang contro Tokyo, costituito dai pronipoti di immigrati coreani che non sono giapponesi al 100 per cento.

Questa disponibilità di Tokyo a cosa potrebbe portare?

Un buon rapporto tra i due paesi aiuterebbe i rapporti tesi molto delicati tra Giappone e Sud Corea per via di una disputa decennale su alcune isole occupate da Seul. Si tratta di uno sforzo importante per trovare una riconciliazione con la penisola coreana in generale.

E potrebbe servire per spianare la strada a Trump con Kim Jong-un?

Sì, sarebbe molto utile al dialogo tra Corea del Nord e Stati Uniti. In passato questo dialogo è stato mandato a deragliare proprio da esigenze giapponesi che non erano state soddisfatte o completamente ignorate. Il Giappone poi è sempre stato il primo bersaglio delle minacce nordcoreane. È un intreccio complicato in questo quadrante dell’estremo oriente che potrebbe forse avere finalmente uno sbocco.

(Marco Tedesco)