La Corea del Nord continua i suoi programmi di armamento, ma come li finanzia? Con il furto di criptovalute che, secondo quanto riportato dal Financial Times, sarebbe una delle principali fonti di reddito di Pyongyang. Lo dimostra quanto accaduto all’inizio di quest’anno, quando la rete di blockchain su cui si basa il gioco Axie Infinity è stata saccheggiata da un gruppo di hacker nordcoreani, che hanno portato via circa 620 milioni di dollari in criptovaluta. Parliamo di uno dei più grandi furti di criptovalute della storia, confermato anche dall’FBI, che ha promesso di “continuare a smascherare e combattere l’uso da parte della Corea del Nord di attività illecite – tra cui la criminalità informatica e il furto di criptovalute – per generare entrate per il regime“.



Quando si parla di cyber crimine si pensa subito a Cina, Russia e Iran come minacce informatiche a livello mondiale, ma per le agenzia di sicurezza occidentali e le società di sicurezza informatica, la Corea del Nord è ora un attore informatico “maligno”. Infatti, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, che monitora l’attuazione delle sanzioni internazionali, ha scoperto che il denaro raccolto da questi attacchi contribuisce a finanziare il programma nucleare e sui missili balistici. Secondo le stime di Anne Neuberger, vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti per la sicurezza informatica, il regime di Kim Jong-Unutilizza la cibernetica per ottenere fino a un terzo dei fondi per il suo programma missilistico“.



“COREA DEL NORD CENTRO DI CRIPTOCRIMINALITÀ”

Solo nei primi nove mesi di quest’anno la Corea del Nord ha rubato circa un miliardo di dollari dalle borse crittografiche decentralizzate, stando alle stime della società di analisi crittografica Chainalysis. Il crescente ricorso della Corea del Nord ai furti di criptovalute è servito, secondo il Financial Times, anche a dimostrare l’assenza – e di conseguenza la necessità – di una regolamentazione internazionale significativa degli stessi mercati. Ma ha anche dimostrato come Usa e alleati sembrino impotenti nel prevenire i furti di criptovalute nordcoreani su larga scala. Per gli esperti il problema è destinato a peggiorare nel corso del decennio, man mano che gli scambi di criptovalute saranno sempre più decentralizzati e sempre più beni e servizi – legali e illeciti – saranno resi disponibili per l’acquisto con le criptovalute.



Uno degli aspetti sorprendenti è che meno dell’1% della popolazione nordcoreana ha un accesso a Internet (ma limitato e strettamente monitorato), eppure c’è un esercito di 7mila hacker. Per trovarli si va a scuola. Chi mostra particolari competenze viene selezionato e addestrato in istituzioni governative d’élite, alcuni ricevono anche una formazione supplementare in Cina e in altri Paesi stranieri. “La Corea del Nord rappresenta un potenziale pericolo per le nostre infrastrutture critiche, ma è difficile capire come possiamo reagire a meno di una guerra informatica totale. Questo sarebbe probabilmente interpretato da Pyongyang come un atto di guerra convenzionale, e contro uno Stato che possiede armi nucleari“, dichiara al Financial Times Desmond Dennis, esperto di cyber ed ex agente speciale dell’FBI e dell’Agenzia di intelligence della difesa degli Stati Uniti.