E se l’immunità di gregge fosse più vicina di quanto pensiamo? Soprattutto nel Nord Italia, dove potrebbe essere stata già raggiunta. È l’interrogativo lanciato dal Wall Street Journal, secondo cui il fatto che il coronavirus possa essersi diffuso prima di quando pensiamo solleva il dubbio che l’immunità di gregge sia allora meno difficile da raggiungere. La Icahn Scool of Medicine al Mount Sinai ha eseguito test anticorpali su campioni di sangue prelevati da pazienti di New York in febbraio e marzo, trovando alcuni casi di positività. In particolare, dall’1,4 al 3,2% dei pazienti finiti in pronto soccorso e tra lo 0,9 e l’1,6% di altri pazienti tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Questo, dunque, lascia pensare che fossero già positivi alla fine di gennaio, visto che gli anticorpi si sviluppano dopo qualche settimana. Secondo WSJ, questo studio pone solleva un altro interrogativo: perché allora non si è verificata un’epidemia come poi accaduto a Wuhan? Secondo alcuni studi, come quello di Los Alomos National Laboratory, le mutazioni lo hanno reso più virulento e infettivo. Secondo un altro studio cinese, invece, alcuni europei e americani potrebbero essersi infettati con un ceppo più leggero, che non ha causato sintomi gravi. Ma questo vuol dire prendere in considerazione l’ipotesi che il coronavirus fosse ampiamente diffuso e che si sia trasformato in una pandemia a causa di una variante.



PERCHÈ IMMUNITÀ DI GREGGE È PIÙ VICINA

I risultati di questi studi portano a ipotizzare, spiega il Wall Street Journal, che allora più persone di quel che pensiamo siano state esposte al coronavirus. In questo caso potrebbero aver giocato un ruolo importante le cellule T, quelle della “memoria”, come evidenziato da un team de La Jolla Institute for Immunology, che ne ha rilevate nella metà dei campioni di sangue raccolti tra il 2015 e il 2018. D’altra parte, ci sono studi che hanno permesso di scoprire che molte persone, pur essendo state infettate, seppur in forma asintomatica o paucisintomatica, non hanno poi mostrato anticorpi Covid. L’ipotesi è che chi sviluppa forme asintomatiche e lievi abbia una risposta anticorpale più debole. D’altra parte, hanno cellule T durature e potenti che possono proteggerle da nuove infezioni. Le cellule T, i cosiddetti “linfociti della memoria”, specifici per Sars-CoV-2 potrebbero rivelarsi importanti per la protezione immunitaria a lungo termine contro il Covid. Dunque, non avere anticorpi non vuol dire essere “esposti” al Covid, perché si potrebbe essere protetti dalle cellule T. Questo vuol dire anche che i test anticorpali potrebbero sottostimare in maniera significativa il numero di persone infettate, soprattutto se con ceppo più “lieve”. Da qui l’ipotesi del WSJ che New York e Italia settentrionale abbiano già raggiunto l’immunità di gregge.

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