Poco più di un mese fa, Biden ha sospeso le sanzioni contro alcune aziende coinvolte nella costruzione di Nord Stream 2, il secondo gasdotto che collegherà la Russia direttamente alla Germania, consentendo a Mosca di ridurre l’utilizzo di quelli che attraversano Ucraina e Bielorussia per esportare il suo gas in Europa.
La mossa di Biden è, forse, la constatazione del fatto che un gasdotto completo al 95% è quasi impossibile da fermare. In più, un gesto distensivo nei confronti della Germania (e della Russia) può portare a Washington benefici su altri fronti.
Relativamente a Nord Stream 2, molti articoli si sono focalizzati sulla lotta fra Russia e Stati Uniti e, soprattutto in previsione del completamento del gasdotto, molti editoriali riconoscono a Putin una vittoria, quantomeno ai punti. Altrettanti, hanno analizzato la situazione del punto di vista dell’Ucraina, Paese che certamente ne esce sconfitto, se è vero che, il ridotto transito di gas russo potrebbe costare al Governo di Kiev 3 miliardi di dollari di ricavi in meno.
C’è da chiedersi tuttavia, come ne esca la Germania, che su questo gasdotto ha speso un capitale politico enorme e, col senno di poi, forse eccessivo. In vista della visita di Biden in Europa a metà giugno, la cancelleria Merkel ha mandato a Washington due fidati consiglieri politici per definire i dettagli di una serie di accordi geopolitici che potrebbero essere ufficializzati durante la visita di Biden. Non abbiamo la pretesa di sapere alcunché in anteprima, ma possiamo immaginare che le richieste dell’Amministrazione Usa saranno sicuramente importanti, in cambio del placet sul gasdotto della discordia.
Tornando alla questione tedesca, la Germania delle grandi strategie energetiche fa sollevare sempre più dubbi. Dal 2000 in poi, Berlino ha pesantemente puntato sulla riduzione delle emissioni, attraverso un mix di efficienza e rinnovabili. Allo stesso tempo, ha perseguito anche una strategia volta ad aumentare considerevolmente l’import di gas. In termini di consumi energetici totali, dal 2005 al 2019, questi si sono contratti di circa il 10%. Nello stesso periodo (evitiamo il 2020 pesantemente alterato dal Covid), invece, la domanda elettrica è rimasta sostanzialmente stabile, intorno ai 620 TWh, ma il mix è considerevolmente cambiato. Il carbone è passato da circa 300 TWh a 185 TWh; per contro, le rinnovabili (solare ed eolico) sono passate da 30 TWh a 174 TWh (da 40 a 220 se aggiungiamo anche i biocombustibili), compensando interamente la contrazione della generazione da carbone.
A seguito dell’incidente nucleare di Fukushima, nel 2011 la Germania ha deciso di avviare il phase-out del nucleare, che si completerà nel 2022. Per questo motivo, la generazione nucleare è passata da 165 TWh nel 2005 a 75 TWh nel 2019. Nel frattempo, il gas è cresciuto molto meno di quanto si potesse pensare: il suo peso è passato da 73 TWh a 100 TWh negli ultimi 15 anni: nei fatti, non ha compensato interamente la contrazione del nucleare e non ha sostituito il carbone. Andando oltre la generazione elettrica, a livello complessivo, la domanda di gas in Germania dal 2005 al 2019 è rimasta inalterata, intorno agli 80 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.
Da un punto di vista ambientale, il cambiamento del mix e l’aumento di efficienza hanno portato a una riduzione del 18% delle emissioni del comparto elettrico. A seguito del decommissioning del nucleare, tuttavia, per rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 da qui al 2030, la sostituzione del carbone con il gas e con ulteriori rinnovabili sembrerebbe diventare una priorità. Tuttavia, per motivi sociali, politici ed economici, il carbone resterà nel mix energetico almeno fino al 2038, nonostante la forte opposizione di molti gruppi ambientalisti.
Ed è qui che iniziano a venire i dubbi sull’efficienza della pianificazione tedesca: le tempistiche di diffusione delle rinnovabili, del phase-out del nucleare, della costruzione dei due gasdotti Nord Stream e della necessità di mantenere in vita le centrali a carbone almeno fino al 2038 sembrano suggerire il tentativo, da parte del Governo federale, di perseguire una pluralità di obiettivi non tutti allineati fra loro. Questa incertezza sembra riflettersi nel fatto che, a fine 2019, la Germania ha superato di slancio i 50 miliardi di sussidi al settore energetico, di cui oltre 30 alle rinnovabili e 11 alle fonti fossili (di cui almeno 5 al carbone). Gli incentivi sono pari a oltre l’1,7% del Pil, superiori alla media Ue di quasi mezzo punto. Tutti questi soldi spesi non hanno portato la Germania né a brillare in termini di riduzioni delle emissioni (in percentuale molti Paesi europei hanno fatto meglio, Italia inclusa), né tantomeno a ottenere un effetto di contrazione sul prezzo di borsa dell’elettricità tale da compensare i vari incentivi versati, tanto che il prezzo finale dell’elettricità resta fra i più alti, soprattutto per i consumatori domestici.
In questa pluralità di obiettivi non sempre coerenti, il ruolo di Nord Stream 2 è cambiato nel tempo: quando fu promosso, lo si presentava come una necessità per incrementare l’import dalla Russia. Il gas avrebbe fatto da ponte verso un futuro rinnovabile e tutti i gasdotti sarebbero stati riempiti per soddisfare la crescente domanda tedesca ed europea. La verità è che, mentre il cantiere andava avanti, i produttori di elettricità tedeschi, favoriti anche dai bassi prezzi dei certificati di emissione, preferivano il carbone al gas, che subiva pure la concorrenza delle rinnovabili e che non riusciva a sostituire il declino della produzione nucleare. A causa di ciò, oggi Nord Stream 2 si veste del ruolo di gasdotto che arriva giusto in tempo a colmare le necessità di ulteriore gas a compensazione del phase-out del nucleare. In realtà, rischia di diventare uno dei primi progetti fossili a entrare nella categoria degli stranded assets (ovvero quegli asset che perdono di valore perché inutili). E se non lo diventerà sarà solo perché farà diventare stranded altri gasdotti, in primis quello ucraino. In definitiva, Nord Stream 2, nonostante il suo notevolissimo costo (finanziario e politico), è nel tempo diventato un buco da cui i vari promotori non sono più riusciti a uscire.
A nostro avviso, quindi, con scelte di politica energetica forse troppo ambiziose e non sempre coerenti, la Germania si è ritrovata legata a un progetto sempre più scomodo e ingombrante, che probabilmente le costerà pesanti concessioni geopolitiche a fronte di benefici economici e ambientali marginali e che forse non si materializzeranno nemmeno: l’opinione pubblica tedesca spinge sempre di più per una transizione energetica più rapida e gruppi ambientalisti stanno intentando causa proprio contro Nord Stream 2 perché non porterebbe sufficienti benefici ambientali. Vista anche la forza dei Verdi, non è da escludere che la messa in funzione di Nord Stream 2 sia solo una vittoria di Pirro in salsa germanica.
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