Dal 26 aprile i lavori per il completamento del gasdotto “Nord Stream 2” avranno un’accelerazione con l’arrivo di una seconda nave russa per la posa dei tubi in mare. Il completamento era previsto appena dopo l’estate, probabilmente a settembre negli stessi giorni delle elezioni tedesche, ma con l’arrivo del nuovo mezzo la fine potrebbe essere anticipata anche a giugno. L’accelerazione avviene nonostante il gasdotto sia stato nelle ultime settimane al centro di un inteso “dibattito” con gli Stati Uniti; per Washington il gasdotto aumenta la dipendenza energetica della Germania e dell’Europa nei confronti della Russia di Putin che potrebbe usare le forniture “politicamente”.
Un gruppo bipartisan di parlamentari americani da settimane chiede di imporre nuove sanzioni sulle società coinvolte nel progetto incluse quelle tedesche. Il 25 aprile il ministro dell’Economia teutonico Altmeier ha dichiarato che “non si deve mettere in relazione il completamento del Nord Stream 2 con il caso Navalny” e che “dovremmo valutare e decidere sulla costruzione e il completamento del gasdotto indipendentemente da altre questioni”. Il politico tedesco ha aggiungo che “negli ultimi 50 anni le forniture di gas non sono mai state un’arma politica nelle relazioni tra occidente e oriente. Questo ha beneficiato le nostre forniture di gas”.
Il quadro che emerge è che la Germania è fermamente intenzionata a completare il progetto nonostante le proteste dell’alleato americano e di uno dei suoi principali mercati per le esportazioni e nonostante l’evidente peggioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia con il presidente Biden che definisce Putin “assassino” nelle stesse settimane in cui si paventa uno scontro armato in Ucraina.
C’è una questione geopolitica, certamente interessante, e c’è un’altra questione industriale ed economica altrettanto importante. È inevitabile chiedersi perché la Germania, alla vigilia di una rivoluzione verde, insista così tanto per assicurarsi forniture di gas stabili ed economiche in un progetto che ha impatti di lungo o lunghissimo termine. L’impegno continua nonostante stia montando una pressione geopolitica pesante che rischia compromettere le relazioni con l’America.
Il sistema industriale tedesco, gli imprenditori, comprendono perfettamente che non si possono far funzionare le “fabbriche della Volkswagen” con quello che offrono in questo momento le “rinnovabili” senza sostenere dei costi energetici che nei fatti le metterebbero fuori competizione. La crisi economica attuale e le guerre commerciali nella misura in cui riducono la platea di potenziali clienti rendono ancora più fondamentale avere fabbriche efficienti. Negli ultimi mesi quando il freddo e il vento eccessivo hanno bloccato l’eolico, la Germania ha tenuto in piedi le sue fabbriche bruciando gas e tantissimo carbone. Si possono certamente caricare gli extracosti della rivoluzione e quelli strutturali di tecnologie che non hanno gli stessi costi delle tradizionali su famiglie e consumatori, ma anche questo è un problema; tanto più in questa fase.
L’Europa non è energeticamente indipendente, a differenza dell’America, con l’unica eccezione della Francia che produce oltre i due terzi dell’energia elettrica con il nucleare. Per tutti gli altri approvvigionarsi in modo stabile ed economico di gas è fondamentale. L’unica spiegazione al comportamento tedesco è che questa condizione non cambierà almeno nel medio termine anche se il bilancio statale è teoricamente in grado di far piovere sulle rinnovabili incentivi colossali. Alla Germania non si possono imputare nemmeno interessi alternativi dato che non ha né una Total, né una Eni.
L’accelerazione dei lavori sul Nord Stream 2 potrebbe anticipare di qualche mese le reazioni politiche e intensificare prima del previsto il dibattito sugli aspetti geopolitici. Rimane una questione industriale ed economica che è evidente a una nazione che vive di industria ed esportazioni, al suo sistema Paese e ai suoi imprenditori.
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