“No, le intercettazioni no: sono ragazzi” avrebbe detto il capo del governo Giorgia Meloni davanti all’ipotesi di mettere il naso nelle chat di chi organizza i rave party. Stessa idea da parte del ministro degli esteri Tajani che ha detto un vigoroso no durante il consiglio dei ministri all’ipotesi difermare preventivamente le feste non autorizzate. Materia inedita e tutta da studiare, avrebbe spiegato il ministro degli Esteri. Sarà vero, come è vero che i partecipanti ai rave sono “ragazzi” per modo di dire. Se è vero come è vero che molti di loro arrivano dall’estero, non ci arrivano certamente in auto stop ma con mezzi propri.



Ci saranno anche dei minorenni, ma gli organizzatori non lo sono. Anche il ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo si è schierato sulla stessa linea: “Le intercettazioni, essendo uno strumento molto invasivo, vanno utilizzate con criterio e con riferimenti a reati gravi, come reati di Mafia”. Bene. Ma se il governo, come detto con orgoglio, si è inventato un nuovo reato (organizzare e prendere parte ai rave party) allora che tipo di reato è veramente? La pena è severa: arriva fino a sei anni di reclusione e sono previste anche multe che vanno da 1.000 a 10mila euro, oltre alla confisca dei materiali utilizzati e alla sorveglianza speciale dei soggetti indiziati. In realtà questo governo non si è inventato nulla: il punto di partenza per il decreto è il pacchetto di norme studiato dalla precedente ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. L’obiettivo era adeguare le leggi italiane a quelle già in vigore in altri Paesi europei, dove da anni i raduni clandestini sono illegali e vengono puniti con multe salatissime e sanzioni severe. Ecco.



C’è chi sui social si lamenta del fatto che, in un momento storico così grave come questo, in piena crisi energetica e caro bollette, questo sia stato il primo decreto legge licenziato dal governo Meloni: era così importante? Inoltre il decreto legge è uno strumento che entra immediatamente in vigore e procrastina la discussione in Parlamento e, per questo motivo, secondo la Costituzione, dovrebbe essere adottato soltanto in casi straordinari di «necessità e urgenza». Il fatto è che il rave in questione, quello in un capannone abbandonato a nord di Modena, zona Cittanova, è capitato proprio nei giorni in cui il consiglio dei ministri si riuniva per la prima volta.



In questo senso, il governo ha dimostrato la tempestività che si è sempre lamentata come mancante nei governi precedenti, accontentando così i suoi elettori. Di fatto, i rave party sono manifestazioni illegali dal ogni punto di vista: si occupano abusivamente proprietà private; si fa uso abbondante di droghe che possono (e in alcuni casi lo hanno fatto) causare la morte; non si pagano tasse e diritti come fanno tutti gli organizzatori di concerti ed eventi musicali.

Perché loro sì e gli altri no? Basterebbe questo per mettere fine a una usanza nata come manifestazione anarchica e indipendente, un po’ hippie e un po’ erede dei grandi festival come Woodstock (a parte la qualità musicale, ovviamente) divenuta un buco nero dai risultati tragici e devastanti, come il free party organizzato a Viterbo nell’estate del 2021 che tanto fece discutere per via dell’incidente che costò la vita al ventiquattrenne inglese Gianluca Santiago, affogato nel vicino Lago di Mezzano.

Bene così, dunque, ma siamo curiosi di vedere cosa succederà in futuro. Ormai quella dei rave party è diventata una cultura diffusa, difficile estirparla da un giorno all’altro. In realtà tutte le norme ad hoc esistevano da sempre: quelle che puniscono la violazione della proprietà privata, l’occupazione di edifici pubblici, la mancanza di sicurezza, le manifestazioni non autorizzate, gli schiamazzi notturni, la riproduzione musicale senza pagare i diritti d’autore, lo spaccio di droga. Perché non venivano fatte rispettare? E questo decreto servirà a farlo o è stata solo una operazione di tipo smaccatamente populista? Vedremo.