Nel 1995, Mario Martone girò L’amore molesto, un film che nella ricerca della verità da parte di una figlia sulla morte di una madre era anche un viaggio dentro l’anima, i suoni, i colori e gli odori di Napoli. Oggi, nel 2022, il regista porta in concorso a Cannes il lato funebre di quel film, uno sguardo sulla città che ne svela l’oscurità, il dolore dentro quell’anima, come in uno specchio al nero.
Nostalgia – tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea – vede Felice (Pierfrancesco Favino in un virtuoso tour de force linguistico) tornare a Napoli dopo 40 anni di vita al Cairo. Il contatto con il quartiere Sanità, con la madre e i vicoli in cui è cresciuto lo portano a ripensare alla propria vita e all’errore che ne causò la fuga.
Assieme alla sceneggiatrice abituale Ippolita Di Maio, Martone scrive un dramma sul filo del noir, che parte come un toccante film familiare, sul rapporto tra un figlio e una madre (la bravissima Aurora Quattrocchi) e diventa un film su ciò che lega un uomo alla città in cui vive e torna il parallelo con L’amore molesto: se nel film del ’95 si sondava l’identità di una persona attraverso quella di una città, in Nostalgia quell’identità è definitivamente perduta e si cerca invece la natura liquida e ibrida dei luoghi e delle persone.
Felice torna in una città che non riconosce non perché sia cambiata, anzi alla moglie al telefono dice esattamente il contrario, ma perché è cambiato lui, la sua cadenza dialettale che passa dall’italo-arabo al napoletano verace, le sue reazioni alla piccola camorra che gestisce il quartiere e un tempo gestiva anche lui. Appena si prende una casa nei bassi del rione, cominciando a pensare di stabilirsi in città, la prima cosa che fa è sostituire uno specchio con la cartina di Napoli: da quel momento Felice per riscoprirsi deve specchiarsi nel posto da cui viene. E quando lo fa scopre che Napoli cambia con il variare di chi la guarda: mentre è su un tetto a parlare con la moglie, parlando in arabo, o in un cortile interno a ballare con i ragazzi del quartiere musica mediorientale, Napoli è una perfetta città nordafricana, il suo spirito è quello del Libano o dell’Egitto per come lo conosce il personaggio; ma quando a vagare per la città è Oreste, la sua nemesi, i colori della fotografia di Paolo Camera tingono la città di scuro, di lividi.
Martone può così usare gli elementi stereotipati di Napoli e delle sue narrazioni per farne una riflessione sul passato e la nostalgia come invenzioni dolorose, non necessarie, che tengono gli uomini inchiodati al ricordo, che impediscono di cambiare ed evolvere, un inganno in cui chiunque ama crogiolarsi ma che è sinonimo di morte, al contrario del viaggio, dell’apertura all’altro e al futuro. Non è un racconto progressista però quello che fanno Martone e Di Maio, almeno non in senso strettamente ideologico, perché al regista non interessano i discorsi bensì il racconto, la forma romanzesca fatta di ellissi e misteri che gli sceneggiatori rendono aderente a una forma visiva, a una costruzione filmica limpida, precisa.
A tratti fin troppo, visto il modo in cui alcuni elementi e personaggi paiono solo funzionali, ma quando – ed è nella maggior parte dei casi – le parole fanno spazio alle immagini, alle musiche dei Tangerine Dream, agli accenni di poesia, Nostalgia diventa un’opera che cresce col passare dei minuti, capace di farsi strada nello spettatore e di cambiare a seconda dello sguardo. Proprio come la città in cui il film stesso si muove.
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