L’ALLARME DI QUIRICO SULLA FINE DEL MONDO (COME LO ABBIAMO CONOSCIUTO FINORA)

«Il nostro mondo di ieri è morto e non tornerà più»: fosse stato un altro giornalista-analista a dirlo avremmo pensato ad una “sparata” volta ad acchiappare qualche clic in più. Invece è Domenico Quirico, dalle colonne de “La Stampa”, a lanciare il monito alla politica e società del nostro Paese, davanti allo scempio e le conseguenze imprevedibili che questa guerra Russia-Ucraina potrebbe comportare nel nostro futuro.



«In Italia non abbiamo ancora preso coscienza della gravità di quanto sta accadendo in Ucraina e delle conseguenze “globali”, si dice così, sul mondo che verrà. Siamo immersi, dopo quaranta giorni di guerra furibonda, ancora nel nostro confortevole e immobile mondo di ieri», scrive l’inviato di guerra e “penna” tra le più fini in Italia. Quel “nostro mondo di ieri”, quello occidentale della globalizzazione, degli scambi inter-culturali senza praticamente ostacoli, ecco ben presto potrebbe essere dichiarato morto: o forse, lo è già, «sconvolto da ininterrotte scosse vulcaniche proprio in questa terra europea, murato nelle tenebre». I nuovi assetti internazionali che emergeranno dopo la catastrofe in Ucraina potrebbe sconvolgere l’idea che abbiamo finora avuto di Occidente ed Europa: il nuovo legame Cina-Russia, la Nato allargata e una possibile “nuova” cortina di ferro nel mezzo del mondo, per non parlare delle ripercussioni su Africa, Medio Oriente e Sud-America solo al momento tenute in “stand by” dalla comunità internazionale, ma pronte ad esplodere come problematiche anche ben più pesantemente rispetto all’Ucraina.



DOMENICO QUIRICO: “LA POLITICA DEVE DIRE LA VERITÀ”

Secondo il cronista de “La Stampa” già in questo momento si può considerare la globalizzazione «come materia da trasferire agli storici, nasceranno economie belliche ferocemente concorrenti con cui bisognerà fare i conti, ognuna con la sua moneta, fortilizi autarchici in cui non si potrà entrare con i vecchi grimaldelli del “made in”». Secondo Domenico Quirico la cultura stessa, d’ora in poi, «indosserà la maschera dell’odio, ci sono già i segni, e non sarebbe purtroppo la prima volta. I musei degli uni e degli altri saranno purificati dai “prodotti del nemico, “decadenti” o “immorali”, le partiture musicali censurate, i libri divisi in patriottici e pericolosi, gli autori espunti dal passato comune. Dimenticatevi che si canteranno le stesse canzoni o si guarderanno gli stessi film».



Il giornalista se la prende con la sua stessa categoria, con i media, ma anche con i cittadini stessi che pensano alla guerra in Ucraina come lontana e sostanzialmente “indifferente” alla vita di tutti i giorni. Ma più di tutti, Quirico si rivolge alla politica nostrana piegata su vicende infinitesimali di fronte alle conseguenze della guerra: «Il dibattito sull’aumento delle spese militari che pure era una fondamentale occasione non solo di una riflessione politica sul riarmo ma anche sulla preparazione dell’esercito in caso di necessità, è affondato nell’astuto stratagemma italiano, in uso dalla proclamazione del regno nel 1861: rinviare il tutto alle calende greche, diluire, assumere ma in modo omeopatico. Tutti felici contenti del si vedrà». La situazione in atto oggi in Est Europa è la cosa più vicina all’esperienza stessa di guerra mondiale, conclude Quirico: «Si può sperare che la Terza guerra mondiale non divampi in modo esplicito. Ma chi comanderà la economia, i rapporti politici, la diplomazia della nuova guerra fredda nel nostro campo? Americani e inglesi? E l’Unione europea». Compito della politica, rileva il giornalista ex inviato di guerra, è quello di dire sempre la verità «su cosa è in gioco, e sui sacrifici, giusti e indispensabili, per fermare l’aggressore, non trincerarsi dietro il minimalismo dei termosifoni»; fino ad oggi, la pace con la globalizzazione e la cultura senza frontiere «era una abitudine, era l’aria che ognuno respirava senza pensarci. La guerra era una parola, un concetto puramente teorico. Ora affrontiamo lo choc di questa rivelazione, apertamente».