NOTTE DI SAN LORENZO. Anche se collocata all’estremo bordo del dipinto, la coppia di innamorati, sulla destra in basso, non è certamente una presenza marginale: quasi più luminosa del cielo stellato e del riflesso creato sull’acqua dalle luci delle case lungo la riva, potremmo definirla la coscienza della Notte stellata sul Rodano (1888) di Van Gogh, la sua ragione segreta, il geniale tramite fra la realtà e l’intenzione rappresentativa dell’autore: non è casuale che i due stiano proprio per uscire dalla tela rivolti come sono verso lo spettatore e non verso lo spettacolo.



Una profondità inafferrabile dispiega l’ampia curva del golfo e lascia emergere, dalle oscure lontananze contrastate di luce, i più improbabili dettagli: un tozzo campanile, abitazioni appena abbozzate, la cupola di una chiesa persa all’orizzonte.

A vincere in lucentezza non sono però le luminarie degli uomini, bensì gli astri baluginanti del firmamento infinito. Il quadro si illumina così dall’alto anche nel suo significato metafisico ed ogni angolo viene inondato da questa soprannaturale cascata di luce.



I blu e i gialli non arrivano mai ad esplodere nel verde; si limitano timidamente a suggerirlo come ulteriore possibilità luminosa che riesce a muovere l’acqua, a far rollare l’imbarcazione, a fare lentamente avanzare l’uomo e la donna, a far palpitare le stelle.

Si scopre d’un tratto che a dominare la scena è il silenzio: un silenzio buio e luminoso insieme, rotto soltanto dallo sciabordio dell’acqua che, frangendosi ritmicamente contro la riva, rende densa l’atmosfera di un’attesa millenaria.

E il tempo, sospeso così all’eloquenza di tale silenzio, è come se si perdesse anch’esso nelle remote lontananze di questo cielo freddo trapuntato di stelle la cui luce si irradia, ardente e misteriosa, sopra un universo che pare irraggiungibile.



Ma per Van Gogh le stelle non stanno solo a guardare.

Dietro ogni sua pennellata si cela una nostalgia muta e dolorosa che grida – forse già sopraffatta – tutto il drammatico travaglio dell’uomo e di quel suo eterno, abissale anelito che ha saputo strappare a Dio l’impossibile scandalo dell’Incarnazione.

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