Anche quest’anno a Rimini una delle aree più visitate in fiera è stata quella del Meeting Salute, dove si è parlato molto di ricerca. Novartis, una delle più importanti multinazionali farmaceutiche, presente anche nel nostro Paese, ha partecipato all’evento attraverso Gianluca Ansalone, Head of public affairs dell’azienda, tra i relatori dell’incontro “Sanità: la sfida della ricerca come motore di sviluppo”. Una sfida importante e complessa, se pensiamo soprattutto ai grandi cambiamenti che stanno avvenendo. Come ha ricordato Ansalone, nella ricerca e nello sviluppo occorre portare avanti una collaborazione tra pubblico e privato, soprattutto perché è “ormai asseverato dalle statistiche internazionali come esista un rapporto di correlazione diretta tra investimenti in ricerca e sviluppo e competitività del sistema-Paese”. E l’industria farmaceutica è fondamentale per la competitività del Paese a livello mondiale.
Le aziende che operano nel settore sono investite anche da una grande responsabilità. Per renderlo evidente, Ansalone ha citato il risultato di una ricerca commissionata a un prestigioso think tank come The European House – Ambrosetti: il 22% della popolazione italiana è in cura o è raggiunta da un farmaco Novartis. Se è giusta e meritoria, ha aggiunto l’Head of public affairs di Novartis, la grande attenzione che viene data ai successi nell’investimento, non bisogna però dimenticare che ci sono “tanti fallimenti che costituiscono il lavoro quotidiano di chi opera all’interno del settore della salute. È bene condividere tra tutti la consapevolezza che il lavoro che porta a un successo è lungo ed è costellato anche di tanti fallimenti”.
La responsabilità di chi lavora in questo settore sta anche nel sapere guardare avanti e interrogarsi dinanzi ai grandi cambiamenti strutturali che abbiamo di fronte. Ansalone ha citato non solo il cambiamento demografico, che chiede un aumento della sostenibilità “del sistema nel suo complesso, anche sotto il profilo delle risorse pubbliche”, ma anche la forte accelerazione della rivoluzione tecnologica. Oggi, infatti, tra l’innovazione in ricerca e la sua applicazione passano pochi anni. Presto potrebbero bastare pochi mesi. Un’accelerazione che nel campo della salute si traduce in cura personalizzata. In questo senso Ansalone ha ricordato che se “fino a 50 anni fa il tema delle leucemie era trattato sotto il macro cluster dei tumori del sangue, oggi sappiamo che esistono almeno 40 tipi di leucemie diverse e almeno 50 tipi di linfomi diversi: per ciascuno di essi dovrà esistere un modo non più per cronicizzare la patologia, ma per curarla definitivamente”.
Di fronte a questo cambio di paradigma, ha aggiunto Ansalone, il legame tra scienza e tecnologia diventa fondamentale. Ma ancor più importante è l’impatto che la cura può avere “sull’equilibrio generale del sistema”. Se infatti il costo netto di una terapia più precisa e personalizzata è superiore rispetto a quello di un farmaco passepartout, “il costo generale per il sistema non è necessariamente più alto, anzi”. Ciò per via dei cosiddetti costi evitati. Se infatti un paziente non cronicizza più la sua patologia, ma è in grado, grazie al contributo della ricerca, di guarire, può ancora dare un contributo importante alla crescita e allo sviluppo sociale, economico e culturale del Paese. “Questa è la nuova dimensione su cui insistiamo quando parliamo di ricerca in salute”, ha detto Ansalone, evidenziando come di fronte a tale scenario non si può pensare di “agire con piccoli aggiustamenti incrementali, anche normativi, anche regolatori”. Di fronte a un cambiamento così epocale, occorre che cambi anche il rapporto tra pubblico e privato, dove il primo individua la linea di orizzonte del futuro delle nostre vite e il secondo contribuisce con la sua capacità di fare ricerca e innovazione.