Sì, il Niger nel 2021 è stato il primo fornitore di uranio naturale dell’Europa, mentre nel 2022 è scalato al secondo posto dopo il Kazakistan. Dai dati più recenti di Esa (European Supply Agency), ossia l’organizzazione europea che si preoccupa di garantire la fornitura di materiali nucleari per tutti i Paesi Euratom, la Comunità europea dell’energia atomica, emerge il quadro seguente: Kazakistan (27%), Niger (25%), Canada (22%) e Russia (17%) occupano stabilmente le prime e principali posizioni nelle forniture di uranio naturale al nostro continente, con una sorprendente (ma molto probabilmente temporanea) riduzione dell’import da un fornitore storico, l’Australia, scesa l’anno scorso per la prima volta sotto al 3% da uno storico e stabile 15%.



Anche a livello mondiale, il Kazakistan occupa ormai da tempo il primo posto con il 45% della produzione, seguito a distanza da Canada (15%), Namibia (11%) e da Australia, Uzbekistan, Russia e Niger, tutti sotto al 10% (dati 2022).

Origine dell’uranio fornito all’UE nel 2022. Fonte Esa

A fronte di questi dati, il recente colpo di Stato in Niger può quindi rappresentare un rischio immediato e grave per le centrali nucleari europee, nel caso si interrompesse l’esportazione del materiale grezzo?



Sembra proprio di no. Sempre secondo Esa, infatti, sulla base del fabbisogno medio annuo per i 101 reattori dell’Ue (circa 12mila tonnellate di uranio naturale all’anno), le scorte possono alimentare i reattori nucleari per tre anni in media. Tuttavia, la media nasconde un’ampia gamma, sebbene tutte le utilities mantengano una quantità sufficiente di scorte per almeno una ricarica di combustibile (quindi altri 14-18 mesi di funzionamento dei reattori).

E nel medio-lungo termine, se la crisi in Niger diventasse stabile e portasse il nuovo regime a non rispettare gli accordi e i contratti internazionali già stipulati con la Francia?



Anche in questo caso, la risposta più ragionevole sembra essere quella negativa. Perché l’Europa potrebbe ridurre o addirittura eliminare i rifornimenti da paesi “critici” (Russia – anche se ad oggi il combustibile e i servizi in ambito nucleare non sono inseriti nelle sanzioni – e Niger, ipotizziamo pure Kazakistan) per concentrare le importazioni da Paesi meno “rischiosi” quali Canada e Australia. I quali possiedono di gran lunga le maggiori riserve accertate di uranio naturale al mondo, rispettivamente il 28% e il 10%, mentre il Kazakistan (13%) e Russia (8%) sono gli unici competitor, gli altri Paesi essendo tutti sotto il 5%. Percentuale che sostanzialmente si mantiene se includiamo anche le risorse ipotizzate. Forse è anche per questo motivo che i francesi di Orano l’anno scorso sono saliti al 40% nella proprietà di Cigar Lake, la più grande miniera di uranio al mondo, in Canada.

Distribuzione mondiale delle risorse convenzionali accertate di uranio naturale nel mondo (costo di estrazione < 130 US$/kgU, al 1/1/2021). Fonte

Ma per ottenere il combustibile nucleare nella sua forma finale, oltre al materiale primario grezzo, l’uranio naturale, sono necessari almeno altri tre passaggi: la conversione (da uranio ossido a materiale fluorato, UF6), l’arricchimento in uranio-235 (il vero combustibile), infine la fabbricazione dell’elemento di combustibile da inserire nel reattore. In questo caso, però, la differenza la fanno il know-how tecnologico e la capacità industriale, essendo processi di lavorazione e non più la semplice fornitura di materia prima.

Quali capacità ha quindi l’Europa su queste fasi? Anzitutto, occorre dire che le tecnologie coinvolte sono tutte proprietarie, l’Ue non dipende da altri. Circa la conversione, Orano copre il 37% del fabbisogno europeo, il resto lo fanno Russia (22%), Canada (21%) e Usa (16%). Circa l’arricchimento, la produzione interna è del 62% con una quota russa pari al 30%.

Conversione in UF6 per l’Ue, per fornitore, dal 2017 al 2022 (in tonn. U). Fonte Esa

Per quanto riguarda la fabbricazione del combustibile, invece, la capacità più importante si trova in Ue (Germania, Spagna, Francia, Svezia) oltre a Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Il mercato è molto competitivo e gli elettroproduttori nucleari hanno accesso ad almeno due fornitori alternativi.

In definitiva, le percentuali di dipendenza da Mosca per conversione e arricchimento sono certo importanti ma non proibitive, nel medio-lungo termine.

Ma gli investimenti industriali indispensabili per incrementare le capacità europee, è sempre Esa che scrive, non sarebbero plausibili senza qualche forma di impegno politico e contrattuale nel lungo termine.

Occorrerà farlo sapere a Mr. Timmermans. O meglio, al suo successore.

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