Ieri Emmanuel Macron ha annunciato il piano di investimento “France 2030“. Il Presidente francese ha dichiarato che il suo Paese comincerà a investire “molto velocemente” in nuovi progetti nucleari e che “continuerà ad avere bisogno di questa tecnologia”; “la priorità numero uno è avere piccoli e innovativi reattori nucleari in Francia entro il 2030”. Il Paese transalpino nel frattempo combatte la sua buona battaglia perché il nucleare venga definito “verde” dall’Unione europea. Il prezzo dell’energia elettrica per le famiglie e, soprattutto, le imprese francesi è di gran lunga il più basso tra le principali economie europee; la sostituzione di fonti tradizionali con “rinnovabili”, alla velocità imposta dall’Unione, darà un ulteriore vantaggio alla Francia rispetto al resto dell’Europa. Questo significa che l’industria francese rimarrà non solo competitiva rispetto al resto del mondo, ma, ancora di più, rispetto al resto d’Europa.



Macron parla di mini-reattori innovativi e forse sta solo testando l’opinione pubblica francese perché diversi analisti ritengono che la Francia abbia in realtà intenzione di costruire almeno sei nuovi reattori tradizionali entro il 2044. Più la crisi energetica si farà sentire nei Paesi confinanti, più l’opinione pubblica francese, il sistema industriale è già convintissimo, si convincerà non solo a tenere il nucleare, che produce il 70% dell’energia elettrica in Francia, ma a espanderlo ulteriormente. Non c’è niente di meglio che osservare le imprese che chiudono, come già successo in Italia, o pubblicare i rincari per le famiglie italiane. 



È interessante che nel discorso di ieri, quello del rilancio ufficiale del nucleare, Macron abbia annunciato l’obiettivo di essere un leader nell’idrogeno verde entro il 2030. L’idrogeno verde è un sogno destinato a rimanere nel cassetto fino a che qualcuno non spiega come produrlo in modo economico, affidabile ed efficiente senza il nucleare. Nemmeno coprendo il suolo italiano di pannelli fotovoltaici e riempiendo coste e colline di pale eoliche si potrebbe risolvere il problema.

Un paio di settimane fa uno dei principali produttori di rame al mondo, la polacca KGHM, ha annunciato un accordo per sviluppare almeno quattro mini reattori nucleari per l’elettricità dei suoi impianti. La quantità di rame necessaria in un’automobile elettrica, per la cronaca, è doppia rispetto a quella di un motore tradizionale.



Qualsiasi programma di decarbonizzazione, tanto più se imposto a tappe forzate, è destinato a tradursi in incrementi di costi insostenibili per le famiglie e imprese. L’unica alternativa, vera, è il nucleare che per essere ampliato ha bisogno di anni anche in Paesi dove l’opinione pubblica e la politica sono storicamente favorevoli come in Francia. Chiunque parli di transizione energetica qui e ora e decarbonizzazione a prescindere da un piano nucleare in realtà sta ponendo le basi per un impoverimento del tessuto produttivo e delle famiglie pauroso. In Francia lo sanno e si comportano di conseguenza. 

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