E’ interessante notare, riguardo all’andamento dei colloqui di Vienna sul nucleare tra Iran, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti, come i media italiani facciano trasparire un’immagine distorta rispetto a quella che è la realtà. Evidentemente allineati su posizioni filo-americane, i nostri giornali continuano a ripeterci che le trattative in corso sono sul punto di interrompersi con possibili gravi conseguenze anche militari per colpa unicamente di Teheran, che manterrebbe una linea dura, a partire dalla richiesta, ancor prima di aprire una discussione, di abolizione di tutte le sanzioni, quelle imposte da Trump quando si ritirò dagli accordi, ma anche quelle imposte prima degli accordi, assumendo l’impegno a non imporne altre in futuro, con il successivo ripristino delle clausole del Jcpoa (Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare del 2015).
Non solo: in Iran sarebbe cresciuta l’ostilità verso gli Stati Uniti anche da parte di quelle fazioni che erano più aperte al dialogo e il paese, in sostanza, sarebbe contrario a qualunque tipo di accordo. Il professor Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica di Milano, esperto di geopolitica e di finanza islamica, che ben conosce la realtà interna iraniana, ci fornisce invece tutt’altro quadro: “È improbabile che i colloqui in corso abbiano successo nel limitare il rafforzamento del primato nucleare iraniano nella regione, mentre le sanzioni introdotte da Donald Trump al momento della rottura degli accordi sembrano avere prodotto effetti inattesi dal punto di vista economico, strategico e militare”.
In sostanza, ci ha detto Hamaui, le sanzioni hanno fatto sì che l’Iran abbia dato vita a imprese e aziende fatte in casa per sviluppare un’economia diversificata che prima non aveva, dipendente come era solo dal petrolio, hanno permesso grazie alla realtà globale multilaterale di stringere accordi con paesi come Cina e Russia e infine non hanno reso impossibile gli avanzamenti verso le armi nucleari”. Insomma, la speranza di Trump di mettere in ginocchio l’Iran grazie alle sanzioni si è rivelata un fallimento.
I colloqui di Vienna sembrano subire una impasse. Gli iraniani non parlano neanche direttamente con gli americani, ma solo tramite gli altri paesi occidentali. Questo conferma che manca una solida base di dialogo?
E’ più di un anno che è così. Gli iraniani hanno sempre dichiarato che non si sarebbero seduti al tavolo delle trattative con gli Usa. Senz’altro è un indicatore del clima che intercorre fra i due paesi, ma personalmente, già in tempi non sospetti, scrivevo in un articolo di non avere alcuna speranza rispetto a questi colloqui.
Perché?
Per vari motivi. Intanto economici: le sanzioni hanno abbassato un po’ il tasso di crescita dell’Iran, ma hanno avuto anche degli effetti di stimolo in vari settori.
Quali e in che modo?
Internet prima di tutto. Il fatto di non avere a che fare con le grandi multinazionali americane ha spinto gli iraniani a creare proprie società. Hanno messo in piedi una serie di società avanzate dal punto di vista della digitalizzazione, hanno creato una Amazon iraniana, un Facebook iraniano. Non solo: anche il settore missilistico, dei droni e quello della difesa non hanno subìto grandi conseguenze, anzi è stato un pungolo anche in questo caso per creare una produzione interna. Le sanzioni non sono state così efficaci neanche da un punto di vista economico, perché in un mondo multilaterale, attraverso accordi con i cinesi, i russi e altri paesi, gli iraniani sono riusciti in parte a sostituire i mancati acquisti di petrolio. C’è anche stato un altro aspetto interessante, proprio perché è venuto meno il commercio del petrolio: questo li ha stimolati a diversificarsi. Oggi l’economia iraniana è più diversificata di quanto sarebbe stata senza sanzioni, hanno saputo produrre più servizi, che hanno venduto all’estero. Il risultato complessivo è che le sanzioni hanno sì abbassato il tasso di crescita del paese, ma non hanno certo messo in ginocchio l’economia iraniana.
Quindi non è vero che gli iraniani stiano facendo di tutto per far saltare i colloqui di Vienna?
Semplicemente gli iraniani non sono oggi così interessati a chiudere le trattative. Anche per un motivo di natura strategica: quando furono chiusi gli accordi sei anni fa, l’Iran era molto lontano dalla produzione della bomba, mentre adesso sono molto vicini. Allora ci sarebbe stato tempo per gli ispettori di fare verifiche, oggi questo tempo non c’è più e tutto questo è diventato molto più complicato. Questi anni non sono passati invano dal punto di vista strategico, oggi l’Iran gioca un ruolo nella regione che sei anni fa non aveva.
E’ più potente?
Assolutamente sì: basti vedere la Siria e l’Iraq anche se qui oggi la situazione è complicata. L’Iran deve difendere questo ruolo strategico e militare che ha acquisito dotandosi di un armamento nucleare, cosa che è diventata ancor più importante di prima.
Stando così le cose, nel caso che non si concluda nulla a Vienna e sapendo quanto Israele da sempre spinga per un intervento militare, così come la destra americana, non c’è il rischio di attacchi preventivi?
Dal punto di vista militare per Israele da sola è estremamente difficile distruggere il potenziale nucleare iraniano. Le centrali sono sparse per tutto il paese, non sono concentrate in un solo punto, sono nascoste e ben difese. In più l’Iran ha una capacità di reazione molto più forte, anche in considerazione delle alleanze strette con Hamas e con Hezbollah. Per Israele, se scatenasse un attacco da solo, sarebbe molto difficile distruggere le centrali. E di questo gli iraniani sono consapevoli.
E un attacco americano?
Gli americani potrebbero farcela anche da soli, sarebbe però un impegno militare che non solo i repubblicani, ma soprattutto l’amministrazione Biden, dopo la fuga dall’Afghanistan, non vorrebbero intraprendere. Il gioco che stanno praticando gli iraniani è dire: le vostre minacce economiche e militari non sono credibili.
Si può dire che questa situazione, in cui l’Iran esce più forte, è imputabile alla decisione di Trump di uscire dall’accordo e alle sue sanzioni?
Trump ha certamente una grande responsabilità, ma io credo che l’Iran nel lungo periodo avrebbe comunque costruito un’arma nucleare. Gli accordi di allora prevedevano un periodo di sospensione e la mossa di Trump ha fatto da acceleratore di questi processi. Non sono tuttavia così convinto che comunque l’Iran, magari fra vent’anni, non avrebbe lo stesso costruito l’arma nucleare, sapendo di esserne in grado. E’ un paese che ha le capacità scientifiche e umane. Trump si è sbagliato, pensando che le sanzioni avrebbero messo in ginocchio Teheran.
(Paolo Vites)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI