Nell’audizione davanti all’Europarlamento il candidato a commissario europeo all’Energia Dan Joergensen ha confermato che il nucleare sarà parte integrante del mix energetico europeo e parte della soluzione per decarbonizzare il sistema elettrico. Un sostegno all’atomo che il candidato danese esprime a denti stretti per non scontentare la maggioranza delle forze politiche più che per convinzione personale (“Sarà capitato anche a voi di accettare un mandato anche se non ne condividono completamente i contenuti”).
Joergensen focalizza l’attenzione sui piccoli reattori SMR, tecnologia in divenire che entrerà nel piano europeo per gli investimenti puliti senza però chiarire se potranno accedere a finanziamenti da parte dell’Ue.
Da Strasburgo spostiamoci nel Baltico dove la Svezia rinuncia all’eolico offshore per “problemi di sicurezza” vista la vicinanza con l’enclave russa di Kaliningrad e punta sul nucleare per raddoppiare la produzione elettrica. Potenziando il parco attuale con 2,5 GW di capacità addizionale entro il 2035 e con la costruzione di 10 nuovi reattori un decennio dopo. Anche l’Italia è investita dal fenomeno del rinascimento nucleare. Da mesi è un susseguirsi di annunci governativi. L’ultimo in ordine di tempo è la prossima costituzione di una newco partecipata da Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo per fare ricerca su impianti nucleari di piccola e media dimensione di tipo modulare. Mentre è atteso un quadro regolatorio per la produzione di energia nucleare a partire dal 2030. Fermo probabilmente perché si aspettano le valutazioni tecniche della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile che dovevano essere rilasciate già il mese scorso.
Si accenna anche al disegno di legge delega per l’istituzione di un organo di controllo del settore, mentre non è chiaro se sostituirà o si aggiungerà all’Isin, l’autorità di controllo in materia di sicurezza nucleare costituita 10 anni fa. Indubbiamente, c’è attivismo nelle file dell’Esecutivo, ma l’impressione è incertezza sui tempi e fumosità sulle tecnologie di riferimento. In sostanza è una politica di attesa: aspettare i modelli commerciali di micro-reattori; attendere la scoperta della fusione nucleare (presumibilmente non prima della fine del secolo). Nessuna concretezza: l’Italia continua a non aver firmato l’impegno climatico a triplicare il nucleare nel mondo entro il 2050 e aderisce all’Alleanza dei Paesi nucleari europei solo come osservatore.
C’è invece chi, anche tra le fila dell’opposizione, preme per aprire da subito il mix energetico al nucleare con le migliori tecnologie esistenti: i reattori di terza generazione avanzata. Forte di un’inversione di pensiero nell’opinione pubblica la quale si dichiara aperta a valutare le possibilità di utilizzo dell’energia da atomo: 3 italiani su 4 secondo il sondaggio SWG di aprile, è partita una raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare. In 4 giorni, con il semplice passaparola è stata raggiunta e superata la soglia delle 50mila firme necessarie (a oggi siamo oltre 61mila). Tra i proponenti, ci sono tecnici e professori di ingegneria nucleare ma anche sigle ambientaliste come Amici della Terra, rappresentanti della società civile come la Fondazione Luigi Einaudi e l’associazione Nucleare e Ragione, divulgatori come Luca Romano, alias l’Avvocato dell’Atomo, con un seguito di oltre 300 mila follower, e partiti politici come Azione e i Radicali Italiani.
Giuseppe Zollino, professore all’Università di Padova di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari e membro del direttivo di Azione, commenta: “Va bene come sostiene il Ministro Picchetto Frattin investire in nuove tecnologie nucleari. Ma queste saranno commercialmente disponibili, testate e affidabili, magari tra 10 anni. Non possiamo aspettare. Serve subito il miglior nucleare già disponibile”. Anche se il quorum è stato raggiunto, il comitato promotore ha scelto di proseguire la campagna. “L’obiettivo è raccogliere più firme possibili per dimostrare che il consenso popolare attorno all’energia nucleare è cambiato”.
Singolare per un “Paese vecchio” come l’Italia, notare che due terzi dei firmatari ha meno di 32 anni. È una generazione più attenta alla lotta al cambiamento climatico e meno ideologica dei propri genitori e nonni.
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