A volte ritornano, potrebbero minacciare alcuni parafrasando il re dell’horror, Stephen King. Una sconveniente verità, potrebbero rispondere altri prendendo a prestito il titolo del film-documentario ambientalista dell’ex vice-presidente Usa, Al Gore. Ma cosa sta succedendo attorno al tema nucleare?

Quella sul nucleare è una domanda “calda” in questo periodo, alla quale si può facilmente dare una risposta di natura tecnico-scientifica, mentre lasciamo volentieri a chi di competenza le valutazioni di natura politica.



In primis, occorre ricordare che abbiamo a disposizione solo due armi per combattere i cambiamenti climatici. Se vogliamo rifornire di energia il mondo, producendo pochissimi gas serra durante l’intero ciclo di vita degli impianti, ossia dai materiali necessari per la loro costruzione sino al loro smantellamento, le due armi più valide sono le fonti rinnovabili e la fonte nucleare.



I dati di fatto. Vari studiosi, e anche la stessa Ipcc, l’InterGovernmental Panel on Climate Change, nei loro rapporti confrontano i grammi di CO2 equivalente emessi per ogni kWh di energia elettrica prodotta con varie fonti di energia: il nucleare è a valori inferiori a 20, in sostanza alla pari dell’idroelettrico e dell’eolico, addirittura inferiore al fotovoltaico.

Questo è quanto calcolano, stimano, dichiarano gli esperti.

Serve allora il nucleare? Sembrerebbe di sì, o almeno ne evidenzia e ne auspica un ruolo per la decarbonizzazione anche l’agenzia internazionale dell’energia (Iea), in molti dei suoi report annuali ormai da diverso tempo. Ne riconosce l’importanza del contributo, certamente limitato ma di supporto e di integrazione allo sforzo delle rinnovabili, anche l’Ipcc.



Di recente poi, anche la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, ha dichiarato che “servono più rinnovabili ed energia pulita” e che “accanto a queste abbiamo bisogno di una fonte stabile, il nucleare”, aggiungendo poi che, nella fase di transizione, dovrebbe avere un ruolo anche il gas naturale.

In sostanza gli stessi concetti, anche se più sfumati sul nucleare (“non fermiamo la ricerca”), espressi di recente dal ministro della Transizione ecologica italiano, Roberto Cingolani.

Ma di quale nucleare stiamo parlando? Per altri 10-20 anni il contributo maggiore del nucleare alla decarbonizzazione arriverà dall’estensione di vita delle centrali di cosiddetta seconda generazione, quelle costruite negli anni 80-90, che sono la gran parte dei 440 reattori oggi in funzione nel mondo, dei quali oltre 100 in Europa.

Mentre per un contributo ulteriore si può fare affidamento già oggi alla tecnologia di terza generazione, quella utilizzata dagli oltre 50 nuovi reattori attualmente in costruzione nel mondo. In costruzione anche in Europa e negli Stati Uniti, ma di certo non un caso di successo, perché questi progetti hanno accumulato ritardi in media di 10 anni e aumenti dei costi dell’ordine del 200-300%.

Tuttavia, reattori dello stesso tipo o molto simili sono stati costruiti e sono già operativi in Cina, in Russia e negli Emirati Arabi Uniti, senza soffrire degli stessi problemi. Quindi, potremmo dire che l’Occidente deve re-imparare a costruire questa tecnologia sofisticata, mentre altri si dimostrano già ben “allenati”.

Nel breve-medio termine, invece, cioè entro un decennio, potremmo essere in grado di sfruttare nuove tecnologie, come gli Small Modular Reactors: reattori più piccoli, modulari, tipicamente tra i 100 e i 300 MWe per ciascun modulo (a differenza dei grandi impianti da oltre 1500 MWe l’uno), costruiti in gran parte in officina, quindi in un ambiente più agevole e controllato, e poi trasportati e assemblati sul sito. Questo dovrebbe garantire tempi e costi più certi e contenuti, quindi un minor rischio finanziario. Soprattutto, più facilmente integrabili in un sistema energetico e in una rete elettrica che saranno più articolati e più impegnativi da gestire, per la forte presenza delle rinnovabili, che non sono programmabili, per la necessità di soluzioni di energy storage ma anche per le maggiori opportunità di cogenerazione, come il teleriscaldamento, la desalazione dell’acqua, la produzione di bio-combustibili e non da ultima la produzione di idrogeno. L’energia elettrica e il calore prodotti dai piccoli reattori potrebbero essere utilizzati per questi obiettivi, offrendo certezza di produzione, programmabilità, alta affidabilità e stabilità dei costi. E naturalmente senza emettere gas serra.

Poco oltre il decennio, inoltre, dovremmo avere la disponibilità anche dei reattori di quarta generazione, assai diversi dagli attuali, che promettono un ulteriore passo in avanti in termini di sicurezza e di sostenibilità del ciclo del combustibile, soprattutto attraverso il bruciamento dei rifiuti ad alta radioattività, una sorta di “riciclo” dei rifiuti più pericolosi, in reattori raffreddati a piombo o a sodio liquidi oppure a sale fuso.

Infine, due brevi commenti su temi verso i quali l’opinione pubblica è sempre stata particolarmente sensibile: la sicurezza e la gestione dei rifiuti radioattivi.

Ebbene sul versante della sicurezza, sia i reattori di terza generazione sia gli Small Modular Reactors e quelli di quarta generazione consentono un ulteriore passo in avanti, soprattutto attraverso i sistemi a “sicurezza passiva”, quella che non necessita di energia elettrica o dell’intervento umano per funzionare. Per capirci, con questo tipo di sistemi eventi simili a Fukushima non potrebbero accadere.

Sul versante della gestione dei rifiuti nucleari, invece, nel 2025 avremo l’apertura del primo deposito geologico profondo al mondo per lo smaltimento definitivo dei rifiuti ad alta radioattività. Una soluzione, a oltre 500 metri sottoterra, che verrà imitata anche dalla Francia e da altre nazioni.

La morale? Il problema dei cambiamenti climatici è un problema globale, la battaglia si preannuncia dura, lunga e costosa. Purtroppo non ci sono facili soluzioni ed ogni utile contributo sarebbe meglio fosse sfruttato. Il nucleare, a livello mondiale ed anche europeo, può fare la sua parte, ma a precise condizioni. Soprattutto, alla condizione che venga valutato senza pregiudizi.

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