Qualcosa si muove sul versante nucleare, a livello mondiale ma persino a livello europeo. Due eventi di rilievo sono accaduti pochi giorni fa, entrambi a Bruxelles. Giovedì 21 marzo: il primo Nuclear Energy Summit della storia, organizzato dalla International Atomic Energy Agency (l’organizzazione ONU con sede a Vienna) guidata dal suo dinamico direttore generale Rafael Mariano Grossi, in collaborazione con la presidenza di turno dell’Europa, rappresentata dal primo ministro belga Alexander De Croo. I partecipanti: 34 Paesi con i loro capi di Stato o di governo, o rappresentanti di alto livello, quali ministri degli esteri o ministri dell’energia, con l’aggiunta di Ursula Von Der Leyen e Charles Michel per l’Unione Europea. Un panel di tutto rispetto, dagli USA fino alla Cina, ovviamente senza la Russia al tavolo. Nel grande auditorium dell’Expo, nella capitale belga e dell’Europa, diverse centinaia di persone ad ascoltare le dichiarazioni dei Paesi in merito al ruolo che il nucleare potrà svolgere, nell’immediato futuro ma già nel presente.



La novità: oltre all’immancabile parola d’ordine “sustainability”, ripetuta da tutti, questa volta si impone il mantra della sicurezza, espressa nell’accezione di “security” ossia certezza dell’approvvigionamento di energia e riduzione della dipendenza geopolitica e geostrategica da paesi “critici”. Molti (statunitensi ed europei) hanno citato esplicitamente la Russia di Putin, ma qualcuno aveva in mente anche la Cina di Xi Jinping, per via di materiali critici e terre rare, oltre che per il mercato dei sistemi e dei componenti, necessari per le rinnovabili, per la transizione energetica e anche per quella digitale.



La dichiarazione finale, condivisa da 33 Paesi, riafferma l’energia dall’atomo come componente chiave della strategia globale per ridurre le emissioni di gas serra, ma si enfatizza il suo ruolo essenziale per garantire la sicurezza energetica, aumentare la resilienza energetica e promuovere lo sviluppo sostenibile a lungo termine.

Nei panel che si sono susseguiti, a valle degli interventi dei rappresentanti dei vari Paesi, si è discusso anche di futura disponibilità di combustibile nucleare per le nuove centrali (Timothy Gitzel, ad di Cameco, prima società al mondo nel settore dell’uranio naturale, ha confermato che “non ci saranno problemi, se il mercato dei nuovi reattori nucleari sarà pronto”), di necessità di supportare le nuove realizzazioni con adeguati finanziamenti (anche se il vice-presidente della Banca Europea degli Investimenti, lo svedese Thomas Östros, ha dichiarato che per ora le tre priorità della BEI sono rinnovabili, rinnovabili, rinnovabili), di interesse dei settori energivori per i piccoli reattori nucleari (Melanie Nakagawa, vice-presidente e Chief Sustainability Officer di Microsoft, ha annunciato che insieme a Google e a Nucor, grande società siderurgica, si è costituita una partnership per supportare e acquistare tecnologie per la produzione di elettricità a emissioni zero – incluso il nuovo nucleare – per alimentare i server dedicati all’AI e per la produzione di acciaio).



Infine, sei associazioni dell’industria nucleare (canadese, statunitense, europea, inglese, coreana e giapponese), insieme all’Associazione Nucleare Mondiale (WNA), hanno firmato una dichiarazione per confermare il loro impegno nel fornire nuova tecnologia e migliorare quella attuale, chiedendo però ai decisori politici condizioni chiare, di lungo termine, in particolare per gli investitori, nonché equità di accesso ai meccanismi nazionali e internazionali di finanziamento per il clima: per questo, le istituzioni finanziarie dovrebbero includere l’energia nucleare nei loro portafogli di investimento.

Il secondo appuntamento importante è stato quello di venerdì 22 marzo: all’evento di lancio della European SMR Industrial Alliance, hanno partecipato ben tre Commissari EU. Kadri Simson (Energia), Thierry Breton (Mercato interno) e Iliana Ivanova (Ricerca) hanno salutato l’iniziativa con favore, ma non senza una buona dose di sorpresa (Breton ha ricordato come, solo pochi anni fa, fosse impossibile anche solo citare la parola “nucleare” nella Commissione europea). L’obiettivo è recuperare il terreno perduto, non solo nei confronti di cinesi, russi e coreani, ben più avanti nella progettazione e nella costruzione delle nuove tecnologie dei piccoli reattori nucleari, ma anche degli statunitensi, degli inglesi e persino degli argentini.

In questo caso, le parole d’ordine sono state molte di più: “security” ancora al primo posto, subito seguita da “delivery”, ossia la necessità di dimostrare la realizzabilità degli SMR (Small Modular Reactor) in tempi e costi ragionevoli e prevedibili, risolvendo le criticità mostrate nella recente costruzione dei grandi reattori in Finlandia, in Francia e nel Regno Unito. Poi, “supply chain & cooperation”, una delle chiavi dell’iniziativa, per favorire la costruzione di una filiera industriale realmente europea e finalmente collaborativa – grande opportunità per le aziende italiane. Infine, “finance”, replicando quanto richiesto dalle associazioni industriali al Summit del giorno prima, e “human resources”, in sostanza un allarme lanciato ai decisori politici perché supportino la collaborazione tra imprese, scuole e università, per l’attrazione, la formazione e il mantenimento di giovani professionisti da inserire nel mercato nucleare che già inizia a svilupparsi.

I giochi geopolitici appaiono evidenti anche in questo evento: tra i progetti di SMR annunciati, solo quello francese, per il reattore Nuward, riguarda lo sviluppo e la realizzazione di tecnologia europea. Per gli altri: i polacchi propongono lo statunitense BWRX-300, i rumeni li seguono annunciando NuScale, gli olandesi si associano all’SMR inglese di Rolls Royce.

Per gli AMR (Advanced Modular Reactor), invece, si rimane nel continente: nella riunione si annuncia la collaborazione industriale tra Newcleo di Stefano Buono e la francese Naarea, vale a dire tra la tecnologia del reattore a piombo fuso e quella del reattore a sali fusi. Un esempio virtuoso di partnership tra start-up innovative, per accelerare lo sviluppo e arrivare quanto prima sul mercato.

La morale per l’Italia? I due eventi di Bruxelles lanciano un segnale molto chiaro ai nostri portatori di interesse, in particolare al versante politico. Nel mondo e in particolare nella vicina Europa, un treno sta partendo. Considerando solo il nostro continente: il piano (mostruoso) della Francia, con i lavori per estendere la vita dei loro 50 e più reattori di seconda generazione, i piani per la costruzione di nuovi grandi reattori EPR2, fino a 14, lo sviluppo e la costruzione del primo SMR; ma poi i piani di realizzazione, sia di grandi sia di piccoli reattori, in Svezia e in Belgio, ribaltando le decisioni di phase-out dal nucleare degli anni passati, in Finlandia, in Ungheria (due reattori di tecnologia russa in costruzione, anche con la collaborazione di aziende europee e statunitensi), in Bulgaria (due grandi reattori AP1000 americani, pianificati per la costruzione da parte dei coreani), in Repubblica Ceca (gara per 4 grandi reattori, francesi e coreani a contenderseli), in Romania, Slovacchia, Slovenia, Olanda e Polonia (una nazione mai stata nucleare).

Le opportunità per le aziende nucleari italiane, ben conosciute e apprezzate dal settore in Europa e nel mondo, sono notevoli. E non solo per quelle nucleari. A patto di proporsi come filiera, ma soprattutto di avere un chiaro supporto di politica industriale e economico-finanziaria, se si vuol pesare in modo strategico. Insomma: fare squadra, fare sistema. Per cogliere appieno questa opportunità, però, alla politica servono coraggio e lungimiranza.

Merce rara, vien da pensare, se gli indizi sono quelli recenti accaduti in quel di Trino Vercellese, il comune che il 12 gennaio di quest’anno aveva deciso di proporsi come sede del tanto atteso deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Il sindaco Daniele Pane (FdI), la sua giunta di centro-destra e il consiglio comunale, dopo una riunione-fiume aperta al pubblico e condotta con encomiabile qualità organizzativa e di dibattito, sia da parte della maggioranza sia da quella dell’opposizione, avevano deciso di proporre a Sogin di valutare se il territorio di Trino, al tempo non incluso nella carta delle aree idonee, rispondesse oggi ai criteri di sicurezza necessari ad ospitare l’infrastruttura (per la quale siamo tuttora in infrazione verso l’Europa). Una decisione al contempo di coraggio politico, di strategia per il territorio, di servizio per il Paese.

Esattamente due mesi dopo, però, la contro-delibera che ritira l’auto-candidatura. I motivi li potete chiaramente leggere nel j’accuse contenuto del documento di giunta: è facile intuire il “fuoco amico”, forse causato dall’approssimarsi del doppio turno elettorale, regionale e europeo. Paura e sguardo corto. Esattamente quello che non serve per azioni strategiche, nucleare incluso (ma non solo).

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