Potrebbero essere passate inosservate, forse per il periodo vacanziero che a volte induce disattenzione nei media più rilevanti, ma le recenti dichiarazioni sul nucleare del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, al Meeting di Rimini e ancor di più l’intervista rilasciata al Sussidiario, sono da considerare con attenzione.



“Intendiamo sviluppare la filiera italiana per produrre gli SMR (Small Modular Reactors) in Italia e installarli ovunque nel mondo già dai prossimi anni”, ha detto il ministro. E poi “vogliamo realizzare i reattori nucleari di terza generazione quelli componibili, industriali e dimensionabili, nel nostro Paese. Io spero che sia possibile annunciarlo entro quest’anno”.



Le dichiarazioni del ministro Urso lasciano ben sperare, per due semplici motivi.

Il primo: l’obiettivo indicato è pragmatico e pratico. Non si tratta di trattare il nucleare semplicemente come tema di ricerca, per sviluppi interessanti ma nel futuro prossimo, magari tra qualche decennio. Al netto dei successi scientifici e di alcuni sviluppi tecnologici recenti, questo è il rischio principale, se ci si dovesse focalizzare principalmente o, peggio, esclusivamente, su tecnologie nucleari molto promettenti, come la fusione o i reattori nucleari di cosiddetta “quarta generazione” (ossia quelli raffreddati a metallo liquido, a gas o a sali fusi), ma con scarse probabilità di arrivare al mercato in tempi brevi, entro il decennio.



Diversi infatti sono i nodi scientifico-tecnologici ancora da scogliere (dai materiali al combustibile, solo per citarne i principali), per i quali ancora non è disponibile una soluzione efficace o addirittura una sperimentazione significativa. Estremizzando, il rischio è quindi di giocare sì la partita nucleare, ma di “buttare la palla in tribuna”. Soluzione comprensibile, da un certo punto di vista politico, se l’obiettivo fosse quello un po’ “pilatesco” di smarcare il tema ma riducendo al minimo le reazioni di buona parte dell’attuale opposizione e di una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, orfana da tempo di una informazione seria e non ideologizzata sull’argomento atomo.

Si tratta invece di considerare il nucleare come una reale opzione industriale ed energetica, per l’oggi e per un orizzonte temporale prossimo, da qui al 2030 e dintorni.

Due indizi a supporto di questo approccio. Di recente è stata lanciata a Bruxelles la EU SMR Industrial Alliance. In essa sono entrate a far parte oltre 50 aziende italiane, il secondo raggruppamento per dimensione, dietro solo ai francesi. L’obiettivo politico dichiarato dalla Commissione uscente è di supportare il mercato continentale degli SMR, realizzando il primo reattore piccolo e modulare in Europa entro un decennio.

A inizio luglio, inoltre, buona parte di queste stesse industrie italiane ha partecipato a Parigi ai Supply Chain Days di EdF, il colosso francese che gestisce la metà dei reattori nucleari europei e che sta pianificando non solo la costruzione di 14 grandi reattori di terza generazione in casa propria, ma anche i lavori per l’estensione di vita di gran parte della flotta attuale, composta da 56 reattori. Impegni complessivi per numerose decine di miliardi di euro, una parte non trascurabile dei quali potrebbe essere tradotta in forniture richieste al settore industriale italico.

Si tratta proprio di favorire il “made in Italy e le filiere produttive” (tema dell’intervento del ministro al Meeting), inclusa la filiera nucleare, sulla quale l’Italia può giocare un ruolo da protagonista, nell’immediato. Il ministro esplicita di averne già parlato con sindacati e Confindustria. Altro aspetto molto positivo. Senza due tra i player più importanti dello scacchiere industriale, infatti, non è pensabile realizzare una politica efficace in tempi brevi.

Le prospettive sono molto sfidanti e sono una reale opportunità, se il settore nucleare europeo dimostrerà di essere capace. Basti pensare a quanto dichiarato dal rappresentante dell’European Data Centre Association nella Alleanza Europea per gli SMR: la previsione dei fabbisogni energetici per i soli centri di elaborazione dati da qui al 2050, spinti dall’IA, si aggira attorno ai 100 GWe di potenza, che deve essere continua e verosimilmente decarbonizzata. Da qui il loro interesse per i reattori piccoli e modulari.

Il secondo motivo di speranza: è sul tema della migliore generazione di tecnologia nucleare oggi disponibile (giornalisticamente indicata come “terza”) che si concentrano gli sforzi e gli interessi dell’intero sistema industriale nucleare europeo, e non solo. Di nuovo, non è il caso di limitarsi a discutere di generazioni e tecnologie future: consideriamo in primis ciò che è disponibile oggi o lo sarà a breve.

Ricordiamo in breve il quadro attuale: 61 reattori di nuova generazione in costruzione nel mondo, dei quali ben 27 in Cina e 21 di tecnologia russa. Ciò significa che oltre il 75% delle nuove tecnologie in costruzione oggi nel mondo sono russo-cinesi, mentre l’Occidente sta giocando il ruolo di fanalino di coda. Se non vuole rimanere in fondo al gruppo, superato anche da India, Emirati Arabi, Egitto e perfino Bangladesh, il mondo occidentale deve rimboccarsi le maniche, smettere di pensare di essere leader, sia tecnologico sia morale, e darsi da fare. Più con le mani e con la testa, che con le chiacchiere. E l’Italia ha le sue carte da giocare.

In chiusura, la citazione di un altro ministro, quello dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, il quale sempre al Meeting di Rimini ha dichiarato che il tema energetico “è una sfida di conoscenza e consapevolezza: servono realismo e piedi per terra”. Parole da condividere in pieno. Soprattutto pensando, circa il nucleare, a quel che si può fare “qui ed ora” (direbbe Julio Velasco…), in primis a vantaggio dell’industria italiana.

Vedremo quale direzione prenderanno il Governo e il Parlamento sul tema, nei prossimi mesi.

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