Due notizie recenti sul versante industriale-energetico sono rimaste per qualche giorno sotto i riflettori: a prima vista appaiono scollegate, invece un filo rosso – sottotraccia (ma neanche poi tanto, in realtà) – le unisce.
La prima: proseguendo nella sua strategia di impegno sul nucleare, il ministro dell’Industria e il Made in Italy, Adolfo Urso, domenica 8 settembre durante l’appuntamento annuale organizzato da Ambrosetti a Cernobbio ha confermato quanto già dichiarato in agosto al Sussidiario e al Meeting di Rimini, ossia l’interesse verso un nucleare “prossimo” nel tempo (la cosiddetta “terza generazione” e gli Small Modular Reactors), aggiungendo al quadro l’idea di costituire una newco tricolore, con una partnership tecnologica straniera, per riavviare in modo deciso la parte industriale-realizzativa dell’atomo domestico.
La seconda: proprio il giorno dopo, il 9 settembre, la Acciai Speciali Terni, azienda del gruppo Arvedi, annuncia la fermata di uno dei due forni elettrici “a causa del perdurare degli alti costi energetici che non consentono all’azienda di essere competitiva nei confronti delle crescenti importazioni dall’Asia a prezzi stracciati”.
La situazione di gran parte dell’acciaio italiano è singolare: è tra i più “green” d’Europa, essendo per oltre l’80% prodotto con forni elettrici, in teoria potrebbe essere completamente decarbonizzato se l’elettricità venisse prodotta solo con rinnovabili e nucleare. Mentre in altre parti d’Europa (ad es. in Germania) ma soprattutto in Cina e fuori continente, il carbone è il combustibile più usato, che sia potenza termica o potenza elettrica quella necessaria per il processo: con ovvii vantaggi in termini economici, essendo il carbone la fonte energetica più a buon mercato nel mondo.
E il filo rosso? Era già steso dallo scorso luglio, quando FederAcciai (alla quale AST appartiene) siglava un accordo con Edison, Ansaldo Nucleare e i francesi di EdF, per il “coinvestimento nella realizzazione di impianti nucleari innovativi Small Modular Reactor, in parte da dedicare ai fabbisogni del settore siderurgico, e di valutare le opportunità di approvvigionamento di medio-lungo termine di energia nucleare, avvalendosi in via prioritaria della capacità sull’interconnector già operativo tra Italia e Francia”. In parole povere: noi (italiani) partecipiamo e cofinanziamo lo sviluppo di tecnologia nucleare francese di nuova generazione, voi (francesi) in cambio ci date – da subito – elettricità decarbonizzata e a costi competitivi e stabili dal nucleare che già avete, per ridurre i nostri costi di produzione da subito.
Nell’attesa che l’accordo venga perfezionato e divenga operativo, però, l’AST chiude metà della produzione.
L’idea di costituire un “campione nazionale del nucleare” che possa realizzare strategie simili, in modo ancor più deciso ed efficace, anche con il supporto finanziario statale e l’endorsement politico, appare interessante e opportuna. Qualcosa di analogo era stato realizzato nel 2009, con la creazione della società Sviluppo Nucleare Italia, una joint venture paritetica tra Enel e EdF, quando si progettava di costruire quattro grandi reattori EPR francesi. Allora, però, i partner erano solo due utilities.
Le due news aprono necessariamente diverse domande e alcune opportunità.
Da chi sarà costituita la nuova società nazionale? Si citano: Enel (una utility che divenga proprietario – o comproprietario – ma soprattutto gestore della centrale, è indispensabile), Ansaldo Nucleare (la società storica del nucleare italiano, che potrebbe agire da pivot della supply chain, nonché collaborare alla fase di progettazione degli SMR qualora se ne verificasse l’opportunità), Newcleo (la start-up divenuta ormai grande, anch’essa – come Ansaldo – con un progetto di Advanced Modular Reactor al piombo in dote, oltre a significativi successi in termini di raccolta di capitali e riconoscimenti europei).
Sono ingredienti fondamentali per un raggruppamento italiano forte. Possono bastare? Chi altri potrebbe utilmente aggiungersi? In altre parole: come coinvolgere altri attori importanti, se non indispensabili?
Facciamo una prima lista: Edison, la prima utility che ha dichiarato il proprio interesse a realizzare SMR in Italia; Sogin, che pur focalizzata sul decommissioning delle vecchie centrali e soprattutto sulla realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, è pur sempre proprietaria dei siti sui quali sarebbe più agevole costruire nuovi reattori; Leonardo, altra società controllata dallo Stato italiano, che pur non avendo esperienza storica nel settore nucleare, ha competenze nell’alta tecnologia e capacità di management in settori complessi e strategici; Eni, anch’essa controllata dal Mef, che pur dedicata unicamente alla fusione, potrebbe non disdegnare di aprire una finestra sul nucleare a fissione di nuova generazione. Anzi, in prospettiva potrebbe prendersi in carico uno degli aspetti più critici e delicati, quello del combustibile nucleare, ripercorrendo i passi storici segnati dallo stesso Enrico Mattei a fine anni 50, quando creò Agip Nucleare, coinvolta sia nella costruzione della prima centrale nucleare italiana sia nella produzione di combustibile.
E come coinvolgere alcuni “campioni” nazionali molto utili nella fase realizzativa (ad es. Webuild) e le altre decine di aziende della supply chain nucleare italiana? Almeno 50, ossia quelle neo-iscritte alla EU SMR Industrial Alliance, o addirittura 70, come indicato dal recente report di Edison-Ansaldo-Ambrosetti presentato di recente a Cernobbio. Infine, anche il GSE (Gestore dei Servizi Energetici) potrebbe svolgere un ruolo importante in termini di realizzazione della policy energetica, all’interno di una iniziativa strategica per il Paese.
Le opportunità di un simile approccio sarebbero diverse: coinvolgere il settore industriale nazionale nella progettazione e nello sviluppo della tecnologia SMR nel breve termine e in quella più avanzata degli AMR (Advanced Modular Reactor) nel medio termine; nella costruzione di queste tecnologie innovative in Italia ma anche nella realizzazione in Europa di queste e di quelle dei reattori di grande taglia di ultima generazione; associare da subito anche gli end-users (i distretti industriali e gli energivori come FederAcciai).
La nuova newco dovrebbe poi necessariamente individuare una partnership straniera: che offra a noi la collaborazione allo sviluppo e alla realizzazione dei “suoi” SMR e che sia interessata allo sviluppo e alla realizzazione dei “nostri” AMR, soprattutto porti in dote la produzione del combustibile nucleare per i reattori avanzati, uno dei problemi più critici per gli AMR, che l’Italia da sola non può risolvere.
Nomi? Non è il caso, per ora solo cognomi: Stati Uniti, Francia, Corea del Sud. Per motivi geopolitici, impossibile oggi ipotizzare partnership con la Cina, tanto meno con la Russia, anche se dal punto di vista tecnologico entrambe sono leader in tutti gli aspetti della tecnologia nucleare, anche in quella più innovativa.
In teoria le tre nazioni avrebbero offerte diverse da proporre all’Italia, alcune decisamente più complete, altre forse più performanti. Sarebbe il caso di esplorarle e magari di percorrerne alcune. Ma non è ora il tempo di scegliere, o di legarsi ad un’unica opzione. Ora è il tempo di strategie e azioni serie sul versante interno.
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