Il recente dato sulla crescita della disoccupazione pone con urgenza la questione della valorizzazione della potenzialità dei lavoratori al fine di favorire la loro occupabilità. Per fare questo occorre che ci sia un giusto matching tra il lavoratore e il lavoro.
Come ha più volte sottolineato ilsussidiario.net, l’analisi delle skills diviene centrale per comprendere a fondo le dinamiche del mercato del lavoro e per far sì che ognuno possa trovare il lavoro che valorizzi al meglio i propri talenti. Le skills possono essere definite come la capacità di applicare le competenze, conoscenze e abilità alla risoluzione di problemi o all’esecuzione di alcune attività in ambito lavorativo e non.
Le skills racchiudono dunque sia il bagaglio di conoscenze e competenze che derivano tipicamente da un’educazione di carattere formale (scuola, università, formazione professionale, ecc.), sia le caratteristiche innate dell’individuo (talento, carattere, capacità di rapportarsi agli altri, ecc.). La definizione di cui sopra evidenzia un iniziale macro problema: data la genericità del termine stesso, risulta complesso codificare le skills attraverso una classificazione che possa essere minimamente dettagliata, né risulta possibile misurarle attraverso indicatori diretti.
L’edizione 2010 dell’indagine Excelsior permette di superare questi problemi: per la prima volta alle imprese viene rivolta una domanda diretta relativa alle competenze che le figure in entrata devono possedere per svolgere il ruolo a cui sono preposte. In questo modo Excelsior si candida a divenire una vera e propria skill survey alla stregua di esperienze analoghe già in atto in altri paesi europei.
Il fabbisogno di skills riguarda 551950 assunzioni previste dalle imprese in Italia nel corso del 2010. La tabella fornisce una rappresentazione sintetica della distribuzione complessiva delle competenze che le imprese classificano come molto importanti, in quanto indicano competenze ritenute indispensabili:
Complessivamente, i dati della tabella mostrano che le imprese italiane richiedono poche competenze “tecniche” (abilità informatiche, linguistiche, amministrative), mentre sono in forte domanda le competenze trasversali quali la capacità di lavorare in gruppo, di risolvere i problemi e comunicativa. Infatti, tra le prime sei competenze più richieste quattro sono di natura “trasversale”; fanno eccezione le abilità manuali, e quelle di gestire i rapporti con i clienti.
È evidente come la forte domanda di skills trasversali chiami in causa l’impostazione di base del nostro sistema informativo, pesantemente orientato alla trasmissione diretta del sapere formalizzato e in difficoltà nello stimolare questo genere di competenze. È necessario che l’acquisizione delle competenze trasversali divenga un obiettivo prioritario della scuola sin dal ciclo primario tramite lo sviluppo di metodi attivi di studio e di lavori in gruppo riducendo al contempo l’uso della didattica frontale.
In altri termini, la forte domanda di competenze trasversali richiede un cambiamento non tanto nei contenuti quanto nella modalità di insegnamento. La capacità di lavorare in gruppo non è infatti appresa dagli studenti in un corso ad hoc, ma deve avvenire facendo esperienza di lavori in gruppo nei vari corsi frequentati.
A questo proposito è interessante confrontare i risultati italiani con quelli realizzati nel Regno Unito dalla National Employer Skill Survey dove le competenze “capacità di lavorare in gruppo” e “capacità di lavorare in autonomia” risultano molto meno richieste dalle imprese. In realtà, ciò avviene in quanto nel sistema formativo anglosassone l’attività didattica frontale è fortemente ridimensionata sin dalle scuole secondarie per favorire il lavoro di gruppo e lo svolgimento di project work a casa.
Questo approccio risulta ancora più accentuato in ambito universitario in cui in numerose discipline la valutazione avviene pressoché esclusivamente sulla base di lavori e progetti svolti dagli studenti in team o in autonomia. Ne consegue che le imprese nel Regno Unito considerino scontato il possesso di determinate skills, che invece in Italia vengono esplicitamente richieste, perché l’impostazione del nostro sistema formativo non consente agli studenti di sviluppare le competenze trasversali.
Si noti che il problema non è risolvibile semplicemente modificando le tecniche di insegnamento, ma esistono evidenti limiti anche di natura strutturale. In università, ad esempio, in molti corsi di laurea il numero degli studenti è tale da impedire tecniche di insegnamento che non siano la semplice didattica frontale: non è infatti pensabile creare dei gruppi di lavoro in una classe con 100 studenti.
I dati di cui sopra risultano ancora più incisivi se analizzati alla luce della classe dimensionale delle imprese. Le competenze trasversali sono infatti proporzionalmente più richieste dalle piccole imprese dove sono fortemente richieste anche le capacità creative e di ideazione (nelle imprese con meno di 10 dipendenti tali competenze sono ritenute molto importanti nel 20% dei casi, mentre il valore è più che dimezzato nelle imprese con più di 500 addetti).
È evidente in questo caso che la forte struttura organizzativa che tipicamente caratterizza le imprese di grande dimensioni limiti la creatività e la capacità di autonomia dei lavoratori, al contrario nella piccola impresa in cui la flessibilità costituisce l’asset principale, queste competenze sono davvero preziose.
(Fonte dati: Sistema Informativo Excelsior)