Il recente rapporto Istat “Noi Italia” ha riproposto alcune evidenti criticità del nostro paese e, in materia di occupazione, mostra come la crisi abbia accentuato alcuni fenomeni, critici da anni. In particolare, uno degli aspetti di maggior sofferenza riguarda l’occupazione giovanile.

Nel rapporto si evidenzia come “i giovani sono da sempre una categoria tra le più vulnerabili nell’ambito del mercato del lavoro. Nel 2009 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è pari al 25,4%, in aumento di oltre quattro punti percentuali rispetto all’anno precedente”. Un valore che, si sottolinea nel rapporto, si è ridotto rispetto al 2000 di 1,6 punti percentuali. “La diminuzione è in gran parte da attribuirsi alla tendenza a posticipare l’ingresso nel mercato del lavoro, determinata dalla maggiore permanenza media dei giovani nel sistema formativo”.



Come già ricordato sulle pagine de ilsussidiario.net, i valori della disoccupazione giovanile sono molto differenti nelle diverse aree del nostro paese: il Nord-est è al 15,7%, il Nord-ovest e il Centro-nord sono al 20,1%, il Centro al 24,8% e il Mezzogiorno, col valore più elevato, al 36% (dati riferiti al 2009).



Di fronte a questi dati, diverse sono le giuste richieste di intervento per rispondere a un problema che merita forte attenzione sia per le possibili ripercussioni sociali, sia perché un paese che non investe sui giovani mostra chiari segni di declino.

Tra i fattori che vengono giustamente evidenziati come causa della situazione ci sono la crisi economica, la distanza tra i mondi dell’istruzione e del lavoro, la “scarsa” propensione al rischio e all’assunzione di responsabilità da parte dei giovani. Sono elementi che hanno a che fare con un periodo di congiuntura negativa che fa preferire alle aziende l’inserimento di figure professionali “immediatamente” produttive, mostrano le lacune di un sistema dell’istruzione troppo distante dal mercato del lavoro reale e, soprattutto, incapace di adattarsi ed evolversi nel seguirne i cambiamenti, evidenziano una criticità culturale (una concezione di lavoro come “posto”) che le generazioni più mature hanno e che ritrasmettono interamente sui giovani.



Se queste considerazioni sono vere, come molti riconoscono, occorre fare qualche passo in più e più velocemente possibile per identificare possibili strade di uscita da questa situazione. Sono stati avviati percorsi di cambiamento strutturale, in particolare nel mondo dell’istruzione (legge di riforma dell’università e dell’istruzione superiore), che pur con le loro criticità e difetti hanno tra gli obiettivi quello di creare un maggior legame con il mondo del lavoro.

 

Pur riconoscendo l’importanza di tali traiettorie, possiamo aspettare che le riforme facciano il loro corso per vedere come migliorerà l’occupazione giovanile? È possibile nello scenario attuale trovare qualcosa che possa far ripartire l’occupazione giovanile e nel contempo rappresenti un punto di riferimento anche per il percorso delle riforme avviato?

 

I dati del mercato del lavoro lombardo, relativamente alle assunzioni dei giovani, mostrano alcuni interessanti evidenze: l’esperienza lavorativa oggi è sempre più un percorso che inizia con forte prevalenza di contratti flessibili o incarichi di stage o tirocinio e che in funzione di differenti tipologie di soggetti e di fattori legati a particolari momenti del mercato del lavoro o più in generale dell’economia, evolvono, per buona parte (oltre il 66%) nell’arco di tre-quattro anni verso la stabilizzazione (contratti permanenti), mentre per altri esiste un rischio di “intrappolamento” in contratti flessibili (la popolazione osservata è di oltre 576 mila giovani tra i 21 e 29 anni, negli ultimi cinque anni). Per entrambi i gruppi, con differenti accenti, esiste l’esigenza di essere accompagnati nel percorso di ingresso e aiutati nella acquisizione di conoscenze e competenze legate al particolare settore lavorativo o più specificatamente nell’imparare un mestiere.

 

È questo un compito fino a pochi decenni fa assolto dalle aziende e che oggi le stesse non sempre riescono ad assolvere. Se fino a pochi decenni fa i “difetti” del sistema dell’istruzione erano risolti in percorsi di formazione e accompagnamento fatti nelle aziende e dalle aziende, oggi i problemi legati alla competitività del mercato, alle esigenze produttive, alle esigenze economiche, non consentono in tanti casi di affrontare la situazione in proprio. Ma questa esigenza di accompagnamento e formazione costituisce certamente uno degli aspetti primari di utilità o supporto per una corretto e proficuo inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.

Come sopperire a tale esigenza? È fondamentale investire nella valorizzazione della rete degli operatori di servizi per il lavoro affinché possano sempre più e con maggior puntualità coniugare le esigenze delle imprese e dei giovani nelle fasi di inserimento e consolidamento nel mercato. Gli operatori di servizi per il mercato del lavoro sempre più costituiscono il legame tra esigenza delle imprese ed esigenza delle persone; sono presenti in modo capillare sul nostro territorio e rappresentano un “sistema di competenze e conoscenze” del mercato reale.

 

La creazione di un patto tra le istituzioni competenti in materia di politiche per il lavoro, le imprese, le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e gli operatori dei servizi per il lavoro può oggi creare risposte reali e puntuali alle esigenze di incontro, accompagnamento e formazione per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

 

La valorizzazione dei sistemi dei servizi per il lavoro rappresenta, infatti, una reale risposta ai cambiamenti in atto nel mercato e un valido strumento di aiuto sia per le persone sia per le imprese; è un tassello basilare su cui costruire un sistema di fexicurity dove le tutele si sviluppino in un contesto di responsabilità personale e aziendale.

 

(Fonte dati: Istat e Osservatorio del Mercato del Lavoro della Regione Lombardia – elaborazione dati CRISP)