Il sistema cooperativo ha ovviamente anch’esso risentito della crisi economica generale. Tuttavia, alcuni elementi fanno ritenere che tale composito mondo, seppure in misura diversa al suo interno, abbia saputo offrire performance economiche e sociali meno problematiche (se non migliori) rispetto alle imprese private.

Lo spunto di queste considerazioni trova una prima conferma in una recente ricerca realizzata dalla Fondazione Nord Est per la Legacoop (www.fondazionenordest.net), dove sono state interpellate e analizzate circa una cinquantina di imprese cooperative di diverse tipologie e distribuite sul territorio nazionale.

Non solo gli indicatori economici, confrontati con quelli del sistema produttivo nazionale, offrono un quadro meno problematico nella fase della crisi. Ma soprattutto sotto il profilo dell’occupazione, le indicazioni delle cooperative segnalano una previsione di sostanziale tenuta dei propri livelli occupazionali.

Basti dire che l’80% delle cooperative prevede quest’anno una sostanziale tenuta dei propri occupati, mentre il 10% ne prevede l’aumento e appena il 6% circa ne prevede la diminuzione []. Per converso, tutte le indicazioni congiunturali del sistema produttivo nazionale, indicano ormai da diversi trimestri che la ripresa economica non sarà accompagnata da un analogo aumento dell’occupazione.

Dunque, è plausibile sostenere che il modello cooperativistico offra performance migliori rispetto a un’organizzazione produttiva tipica del settore privato? Offrire una risposta definitiva non è possibile, poiché richiederebbe studi economici pluriennali. Ciò non di meno, dalla ricerca realizzata emergono indicazioni interessanti, in particolare sul tema della gestione del capitale umano.

Proprio a questo proposito, va ricordato che l’esperienza cooperativa si fonda su alcuni elementi cardine. Su tutti, il tema del “lavoro” assume una valenza centrale. Il valore del lavoro è declinato lungo due versanti principali.

[1] Si veda il bollettino “Osservatorio Economico-Sociale News”, n. 3, 5 novembre 2010, Cooperative di Produzione e Lavoro-Legacoop.

Il primo è relativo all’idea secondo cui il lavoro è veicolo di promozione e di riscatto sociale per le persone, di acquisizione di una dignità personale e sociale. Che, dunque, va salvaguardato come bene primario e universale: un valore non negoziabile. Il secondo versante rinvia al tema della competitività attraverso il lavoro. Il posto di lavoro in sé non è sufficiente a garantire un benessere, se esso non si mette in relazione al mercato, alla possibilità di essere remunerativo perché competitivo.

 

Si tratta, in altri termini, di un valore che va continuamente rimesso in gioco in relazione al mercato. Nel contempo, il lavoro non ha solamente una dimensione mercatistica. L’attenzione alla persona, a offrire opportunità di inclusione sociale, alla sua formazione professionale e generale, costituiscono così altre dimensioni che corroborano e irrobustiscono il lavoratore anche nella sua dimensione individuale, personale.

 

Se non si fa riferimento a questo universo di elementi valoriali, si fatica a comprendere il mix complesso di strategie messe in atto dalle cooperative per salvaguardare l’occupazione e i lavoratori a fronte del calo degli ordini e alla crisi improvvisa che si è verificata.

 

È impossibile, sulla scorta delle interviste realizzate, cercare di tipizzare le molteplici forme di salvaguardia: dalla maggiore flessibilizzazione degli orari, alla redistribuzione dei carichi di lavoro; dalle “isole di lavoro a orario sociale”, al part time; dall’uso degli ammortizzatori sociali, alla riorganizzazione produttiva; dall’utilizzo delle ferie, al limitare gli straordinari.

 

Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza un coinvolgimento diretto degli stessi lavoratori, pratica già insita nell’esperienza cooperativistica, che in questi frangenti è stata ulteriormente amplificata: strumenti informativi, riunioni oltre le assemblee ordinarie e così via. In taluni casi, sono stati gli stessi soci-lavoratori a riorganizzarsi autonomamente, a ridursi i compensi e a rinunciare alle tredicesime pur di mantenere i livelli occupazionali. In una parola, la coesione sociale e l’identificazione con gli obiettivi dell’impresa hanno rappresentato una risorsa fondamentale su cui le cooperative hanno potuto contare.

 

Dunque, le imprese cooperative sono “diverse” dalle imprese private? Sotto il profilo delle strategie aziendali la risposta è negativa. Esiste un processo di sostanziale convergenza nelle strategie delle imprese private e di quelle cooperative. Anche la cooperativa si muove con logiche imprenditoriali analoghe più tipiche dell’impresa privata capitalistica. E non potrebbe essere altrimenti, operando in un contesto capitalistico, in mercati aperti alla concorrenza e alla competitività fra sistemi.

Tuttavia, il tema del capitale umano e della coesione sociale interna alle cooperative costituisce un aspetto decisamente peculiare, pur con tutte le difficoltà determinate dalla vischiosità che a volte si generano nei processi decisionali interni. Il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni e nelle strategie delle imprese cooperative, il sovrapporsi degli obiettivi di competitività della cooperativa (dimensione collettiva) con la salvaguardia del proprio lavoro e del proprio reddito (dimensione individuale) e la condivisione di un orizzonte valoriale (mutualità e solidarietà) costituiscono gli elementi cardine sui cui poter contare anche nei momenti di forte criticità.

 

Non che forme analoghe di solidarietà fra i lavoratori e di convergenza degli interessi fra imprese e occupati non si siano realizzate, nella fase di crisi acuta, anche nelle piccole e medie imprese di cui il territorio italiano è caratterizzato. In questo senso, fortemente condiviso è stato l’impegno con le rappresentanze sindacali per gestire le situazioni di criticità. Fino a giungere al punto estremo che, come hanno raccontato le cronache, si sono registrati alcuni suicidi fra quei piccoli imprenditori che non erano più in grado di salvare la propria azienda e il rapporto con i propri dipendenti.

 

Ciò non di meno, nel modello cooperativo il livello di coinvolgimento è strutturato, è insito nel rapporto fra lavoratore e impresa, mentre nell’impresa privata esso appare frutto di una situazione congiunturale e non ancora di una scelta strategica.

 

Dunque, la particolare esperienza cooperativa pone due interrogativi-sfide che interpellano sia il loro mondo, sia quello privato: da un lato, qual è la ricerca di un migliore equilibrio fra partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali e competitività dell’impresa; dall’altro, come e in che misura si può coniugare la tenuta dell’occupazione con un recupero di produttività. Su questi aspetti è giunto il momento che mondo della cooperazione e il sistema privato si confrontino concretamente.