I dati pubblicati ieri dall’Istat e relativi a gennaio 2011 sono in linea con le ultime comunicazioni dell’Istituto. Il numero di occupati è in leggera diminuzione (-0,4%, ovvero 83mila unità) rispetto a dicembre 2010. Nel confronto con l’anno precedente l’occupazione è in calo dello 0,5% (-110 mila unità). In un’ottica di genere l’occupazione maschile è scesa dello 0,3%, mentre quella femminile dello 0,5%, seppure in aumento dello 0,7% su base annua.
Il tasso di occupazione è pari al 56,7%, stabile (-0,2%) rispetto alla tendenza degli ultimi mesi. Stabile anche il numero dei disoccupati (crescita dello 0,1%) rispetto a dicembre. Su base annua la crescita del numero di disoccupati è del 2,8% (+58 mila unità). La disoccupazione maschile è in diminuzione dello 0,9%, ma cresce il numero di donne senza lavoro: +1,3%. Il tasso di disoccupazione si attesta per il terzo mese consecutivo all’8,6%. Valore comunque e ancora inferiore a quello francese (9,6%), a quello statunitense (9%) e lontano dal tracollo spagnolo (20,4%).
Guardano questi dati, insomma, non ci si stupisce più di tanto. Due possibilità. O si è arrivati all’estremità inferiore della curva dell’occupazione, quindi ora si aspettano i primi segnali di risalita (che potrebbero tardare ancora di qualche mese). O si è concluso un gradino in discesa e quindi si corre il rischio di osservare a breve il passaggio a un gradino inferiore, perciò nuovo crollo dell’occupazione e aumento della disoccupazione. Sarebbe il segnale che nasconde l’incastro nella trappola della crescita senza occupazione (jobless recovery), ovvero la principale preoccupazione di politici ed economisti del mondo occidentale.
Una crescita senza occupazione porterebbe con sé diverse controindicazioni economiche e sociali. La stessa dinamica dei prezzi energetici e delle materie prime alimentari (comunicata anch’essa dall’Istat), sospinta dalla domanda dei Paesi emergenti e dalle pressioni speculative, preoccupa non poco in ordine al pericolo di inflazione importata e quindi a un ulteriore ostacolo ai consumi interni e alla crescita dell’economia.
A ogni modo, stando ai dati attuali, è plausibile accogliere la prima ipotesi tra quelle presentate. La sostanziale stabilità dell’occupazione non pare nascondere segnali catastrofici, quanto mostrare come la pur flebile crescita economica stia determinando per un verso il riassorbimento di cassintegrati e dall’altro lato, come si è già detto in queste pagine, il diffondersi di ristrutturazioni del tradizionale sistema produttivo che generano nuova, seppur spesso temporanea, disoccupazione.
Ma i dati pubblicati dall’Istat ieri non sono tutti qui. Il dato che tutti gli osservatori sono andati subito a guardare è certamente stato quello del tasso di disoccupazione giovanile. La loro curiosità è stata soddisfatta: prosegue la crescita della curva e il tasso è più elevato dello 0,5% rispetto al mese precedente. Ha raggiunto quota 29,4%, nuovo record negativo. In questa statistica peggio di noi si osservano solo Spagna (un tragico 43,1%), Slovacchia e Lituania. Lontani sono però i valori tedeschi (8,3%), inglesi (20%) e la stessa media dell’Europa a 27 (20,6%).
Ovviamente le politiche nazionali non possono “reagire” a ogni comunicato stampa dell’Istat, per cui restano da valutare concretamente e a consuntivo gli effetti delle azioni per i giovani annunciate dai Ministri Sacconi, Gelmini e Meloni circa un mese fa.
Certamente il Ministro Sacconi crede molto alla riforma del contratto di apprendistato come leva per contrastare la dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile, nonché come occasione di miglioramento qualitativo dell’occupazione degli under 30. Il recente Collegato Lavoro ha rinnovato una delega prevista dal Governo Prodi avente a oggetto il riordino della normativa sull’apprendistato. Il ministro del Lavoro e delle politiche sociali ha più volte annunciato la volontà di avvalersi di questa delega, intervenendo sulla materia con l’intenzione di semplificarla, razionalizzarla e renderla maggiormente fruibile dagli operatori del mercato.
Ma il Collegato Lavoro contiene anche un’altra norma che è passata inosservata, ma che potenzialmente puó essere uno strumento importante per la circolazione delle informazioni e la fluidità del mercato del lavoro giovanile. La legge prevede che le università debbano gratuitamente pubblicare sui propri siti internet i CV degli studenti e dei laureati (entro un anno dalla laurea), conferendoli anche alla Borsa Nazionale del Lavoro (ovvero Cliclavoro, il portale pubblico di incontro domanda offerta di lavoro). Questa piccola norma, se da una parte certamente infastidisce i diversi consorzi che lucrano sulla gestione e la selezione dei CV dei laureati, dall’altra permetterà alle imprese del territtorio di conoscere e cercare direttamente i profili idonei per le nuove assunzioni.
Ma indirettamente – e forse involontariamente – questa previsione può essere l’occasione anche per strutturare un privilegiato osservatorio sull’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Incrociando difatti le informazioni provenienti dalle comunicazioni obbligatorie con quelle in possesso delle università circa i propri studenti è ipoteticamente possibile fotografare i primi passi del singolo ragazzo nel mondo del lavoro, scoprendone le tipologie contrattuali, i settori e la durata dei rapporti.
Un ulteriore paragone di questi dati con le verifiche trimestrali sul fabbisogno formativo del sistema Excelsior può completare il pacchetto di informazioni, assai preziose, che potrebbero essere a disposizione dei ricercatori e del decisore politico. Si tratta di coordinare banche dati già esistenti. Perché non provarci?