Gli ultimi dati Istat relativi all’occupazione mostrano in generale segnali di stabilità dei principali indicatori del mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione complessivo, a livello nazionale, per il terzo mese consecutivo (gennaio 2011) è pari all’8,6%. La situazione è, invece, sempre più critica sul fronte dell’occupazione giovanile, dato che a gennaio il tasso di disoccupazione, per la classe di età 15-24 anni, è arrivato al 29,4% (2,8% in più rispetto al gennaio 2010).



Confrontando il dato italiano con i principali paesi europei, constatiamo che siamo secondi “solo” alla Spagna, dove il tasso di disoccupazione giovanile è nell’intorno del 38%, mentre nei principali paesi dell’Unione europea i valori vanno dal 11,2% della Germania al 22,6% della Francia (dati 2009). Nel 2009 erano circa 450mila i giovani disoccupati in Italia, tra i 15 e 24 anni, e corrispondevano al 23% circa del totale dei disoccupati.



La situazione dell’occupazione nel Paese ha certamente vissuto il momento più critico nel 2009 e mostra nel 2010 segni, anche se tra chiari e scuri, di ripresa o, quantomeno, di stabilità. Ma per i giovani il dato è in controtendenza: peggiora; oggi circa un giovane su tre è disoccupato.

Osservando gli andamenti del mercato, dal punto di vista delle dinamiche delle assunzioni, si consolida la constatazione che oggi ci sono possibilità di (re)ingresso prevalentemente attraverso forme contrattuali flessibili. Poche settimane fa, nell’occasione della pubblicazione dei dati del mercato del lavoro in Provincia di Milano, veniva evidenziato che circa l’80% dei contratti stipulati dalle aziende della provincia nel 2010 era di tipo flessibile, contro un 20% circa di contratti permanenti.



Dati che confermano da una parte i cambiamenti strutturali in atto nel mercato e dall’atra la “paura” o l’“impossibilità”, sempre più evidente, delle imprese, in un momento di poca certezza nel futuro, ad assumere con contratti permanenti. Tale situazione è generale, ma ancor più marcata per l’ingresso al lavoro dei giovani. Occorre però notare (mi riferisco a osservazioni tratte da studi relativi alle dinamiche dei giovani che entrano nel mercato del lavoro lombardo, 576mila soggetti osservati negli ultimi cinque anni) che i percorsi del lavoro dei giovani partono certamente in prevalenza con contratti flessibili o con rapporti di stage, ma tendono a evolversi verso forme contrattuali permanenti nell’arco di un periodo di pochi anni (oltre il 61% della popolazione osservata va verso contratti permanenti).

 

Questo fatto rafforza ancor più quanto già affermato in altri articoli pubblicati su questo giornale: il principale problema per i giovani oggi non è rappresentato dalle difficoltà riscontrabili nell’elevata dinamicità del mercato o dall’utilizzo, da parte delle aziende, di contratti flessibili, bensì dalle scarse opportunità di accesso al mercato. Certamente, per molti, e in particolare per coloro che hanno minori competenze, si pone il problema anche di trovare strumenti e modalità di sostegno finalizzate a supportare percorsi spesso altalenanti tra un mestiere e un altro con conseguenti forti rischi di esclusione dal mercato, ma per molti altri, e sono la maggior parte, il problema di fondo è avere un’opportunità di accesso al lavoro.

 

La diminuzione delle opportunità per i giovani viene ricondotta spesso alla mancanza di professionalità (la scuola o l’università sono troppo distanti dalle esigenze del mercato), a costi di inserimento troppo elevati (periodi necessari a che il giovane sia produttivo), soprattutto in un momento in cui la congiuntura non è certamente favorevole.

In termini “strumentali”, per rispondere a tali problemi si potrebbe agire, anche rapidamente, nell’abbassare gli oneri contributivi connessi al contratto di apprendistato (in tutte le sue forme previste), nel sostenere economicamente i percorsi di apprendimento dei giovani (previsti nell’apprendistato) con risorse derivanti dal fondo sociale europeo e/o da quelli della formazione continua gestiti dai fondi interprofessionali e, parallelamente, occorrerebbe favorire lo sviluppo di sinergie tra imprese, mondo della formazione (università, enti di formazione) e la realtà delle agenzie per il lavoro.

 

Agire favorendo un maggior utilizzo del contratto di apprendistato ha in sé almeno tre benefici: per i giovani si creerebbero opportunità lavorative continuative rivolte a insegnare un mestiere; si avvierebbe una strada concreta verso l’integrazione del mondo del lavoro e della formazione; si favorirebbe la circolazione di informazione sulle dinamiche dell’offerta e della domanda. È una grande sfida, certamente da cogliere.

 

(I dati esposti nel presente articolo sono derivati da fonte: Istat, Eurostat, Osservatorio per il Mercato del Lavoro della Regione Lombardia)