Sono stati pubblicati venerdì scorso i dati dell’Istat relativi all’occupazione riguardanti il primo trimestre 2011 e i dati provvisori del mese maggio. Complessivamente si registra una situazione che, coerentemente con l’andamento dei principali indicatori economici relativi alla produzione industriale degli ultimi periodi, mostra segnali di ripresa anche sul fronte occupazionale.



Nel primo trimestre 2011 si assiste a una crescita tendenziale del numero degli occupati dello 0,5% (+116 mila unità), sostanzialmente dovuto allo sviluppo dell’occupazione femminile, e, per la prima volta dall’inizio del 2008, il numero dei disoccupati registra una riduzione su base tendenziale pari a 118 mila unità (-5,2%). Anche il tasso di disoccupazione diminuisce rispetto allo stesso periodo del 2010 passando dal 9,1% all’8,6%.



I valori riportati, che rappresentano certamente un segnale positivo, sono dovuti a un aumento dell’occupazione femminile, a un aumento dell’occupazione per i cittadini stranieri, mentre si assiste a un calo dell’occupazione per i cittadini italiani e dei giovani; per questi ultimi, il tasso di disoccupazione aumenta dal 28,8% del primo trimestre 2010 al 29,6% del primo trimestre 2011.

Un ulteriore dato segnalato dall’Istat è quello relativo alle tipologie contrattuali utilizzate per le assunzioni: è più contenuta, rispetto al recente passato, la riduzione dell’utilizzo dei contratti a tempo indeterminato (-0,1%), mentre continua a crescere il numero dei dipendenti a termine particolarmente nell’industria in senso stretto (+4,1%).



La situazione è molto differenziata sul territorio nazionale e i principali indicatori sull’occupazione sono ancora molto distanti dai valori pre-crisi. Va ricordato che più colpite dalla crisi sono state le fasce deboli del mercato, tra queste le donne, gli stranieri e i giovani e mentre per i primi due si riscontrano segnali positivi resta ancora marcato e preoccupante il problema dei giovani. È l’occupazione giovanile, infatti, uno dei punti principali per verificare segnali di uscita sostanziale dalla crisi e conseguentemente una delle maggiori criticità del nostro mercato del lavoro.

Le aziende, con la crisi ancora dietro l’angolo, hanno forti resistenze a investire su un futuro ancora incerto e che si delinea continuamente tra luci e ombre. I contratti di lavoro sono rivolti principalmente a persone con competenza specifica e sono di breve durata (i contratti di somministrazione-interinali sono tornati quasi ai valori pre-crisi nel settore dell’industria) e in questo scenario poco spazio trovano i giovani che, soprattutto nei primi impieghi, necessitano di aiuto e di un “tempo di inserimento” per diventare “produttivi”.

Uno dei rischi maggiori che si può correre, nella situazione odierna, è certamente quello di rimanere intrappolati dalla paura del futuro che trova il suo fondamento nell’incertezza delle prospettive economiche. Occorre riportare l’attenzione, come detto nel rapporto del Censis dello scorso anno, sulla ripresa del desiderio (“tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”). È questo il fattore primario per ridare vita a una ripresa economica che si fondi sulla certezza che si può ancora costruire per il bene proprio e della comunità in cui viviamo. È in questa traiettoria che la responsabilità di ciascuno è sollecitata oggi a giocarsi in ogni luogo, circostanza e situazione.

È una responsabilità che richiede alla politica di lavorare per avviare da subito strumenti che favoriscano la nascita di progetti volti alla valorizzazione delle iniziative di sviluppo e per sostenere i percorsi del lavoro dei singoli.

Avviare le riforme strutturali in materia di politiche attive integrate con politiche di sostegno economico, attuare la riforma dell’apprendistato per sostenere maggiormente l’inserimento dei giovani, attuare un programma di sviluppo economico per favorire la crescita, sono azioni ormai non più prorogabili e sempre più urgenti per il nostro Paese.

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