1984 è il titolo del libro probabilmente più famoso di George Orwell. Nel 1984, ancora in piena guerra fredda, Ronald Reagan viene confermato alla guida degli Stati Uniti sconfiggendo il proprio avversario in ben 49 stati su 50. Il 1984 è anche l’anno di uscita di “Like a virgin”, un disco storico di Madonna, la regina del pop mondiale che continua ancor’oggi a riempire gli stadi e mandare in delirio i suoi fan.



In quell’anno in Italia Osvaldo Bagnoli guida il Verona dei miracoli verso lo scudetto e Albano e Romina vincono Sanremo con “Ci sarà”. A Padova muore durante un comizio il “compagno Berlinguer”, ancor’oggi un modello per la sinistra italiana, e a Milano nasce la Lega Nord, divenuto oggi il più antico partito di questa strana seconda repubblica in continua transizione. Il 1984 è anche l’anno in cui alcuni giudici oscurano i canali tv della Fininvest guidata da un rampante imprenditore brianzolo, Silvio Berlusconi, divenuto oggi un protagonista, nel bene e nel male, della politica degli anni 2000.



La Germania, guidata da Helmut Kohl, era allora ancora divisa da un muro, mentre oggi unita rappresenta la locomotiva della fragile Europa tutt’ora in costruzione. Il 1984 è però anche l’anno in cui ebbero inizio gli scioperi dei minatori inglesi. La “vittoria” della fermezza della “Lady di ferro”, Margaret Thatcher, attivò quel processo che ha portato alla fine del vecchio laburismo, sul piano politico e sindacale, e ha rappresentato una pietra miliare nella strategia di rilancio di quel Paese.

Nello stesso anno l’allora primo ministro Bettino Craxi tagliava la “scala mobile”. Una scelta difficile e coraggiosa che gli italiani confermarono in un referendum svoltosi l’anno successivo. Una decisione presa, peraltro, in un momento difficile per il lavoro e l’occupazione nel nostro paese. La disoccupazione, infatti, raggiunse quell’anno il record del 10,8%. Il poco invidiabile primato è stato nuovamente registrato dall’Istat nel giugno del 2012.



Il parallelismo sembra, però, limitarsi a questo. Se, infatti, gli anni ‘80 erano quelli della Milano da bere, oggi il nostro Paese è sicuramente più malinconico, senza fiducia e speranza nel futuro e accartocciato su se stesso. In particolare questo è un fenomeno che riguarda i giovani che, più di altri, stanno subendo gli effetti di una crisi che non è solo economica, ma di un modello stesso di società a partire dai rapporti nel mercato e nel posto di lavoro. C’è da dubitare, infatti, che in questi anni nel nostro Paese la classe dirigente economica, politica e sindacale abbia intrapreso un serio percorso di riflessione e ripensamento della propria funzione in un mondo in profonda trasformazione e che oggi, diversamente da ieri, sia in grado di compiere le scelte necessarie con coraggio ed efficace spirito riformista.

In questa direzione si dovrebbe muovere l’operato del governo di “Super Mario” (un altro simbolo di quei fantastici anni ’80) e dei professori chiamati a risolvere, quasi fossero dotati di una bacchetta magica, tutti i problemi atavici del nostro Paese. Le sfide del presente non sono, infatti, affatto meno ardue di quelle del nostro recente passato sopra evocato. La scommessa che come Europa abbiamo accettato è quella di sconfiggere la crisi puntando su una società e un modello di sviluppo che sappia essere, allo stesso tempo, competitivo, intelligente, sostenibile e inclusivo. In particolare il Paese è chiamato oggi ad aumentare ulteriormente il tasso di occupazione, investire in competenze e formazione continua e modernizzare i mercati del lavoro ed i sistemi previdenziali.

In questo contesto si deve inquadrare il tentativo di riforma, ancora in progress, targato Fornero. La sensazione è che, tuttavia, questo provvedimento da solo non riuscirà a dare quelle risposte che il Paese si aspetta e necessita, né a fornire al sistema Italia, in questo mondo sempre più veloce, globale e interconnesso, gli strumenti per essere competitivo, solidale e moderno. Da un governo svincolato da stringenti vincoli elettorali era legittimo, francamente, attendersi qualcosa di più, sebbene il lavoro e l’occupazione non si creino per decreto.

Il rischio che corriamo è che questi trent’anni siano passati invano facendo perdere al Paese l’ennesimo treno per il futuro.