Il fenomeno dei “cervelli migranti” e della mobilità studentesca è un trend globale degli ultimi 30 anni, ma è da almeno 50 che moltissimi giovani del Sud del mondo scelgono di formarsi nei paesi più avanzati a livello industriale e tecnologico. Secondo le recenti elaborazioni dell’Unesco, nel 2010 almeno 3 milioni e 600mila studenti frequentavano università in paesi diversi dal proprio. Gli studenti “in mobilità” – che non sono gli studenti “stranieri”, ovvero quelli che risiedono nel Paese dove studiano – erano due milioni solo dieci anni prima. La forte crescita – secondo l’Ufficio di Statistica dell’organizzazione – riflette l’aumento complessivo del numero di studenti inseriti in livelli di istruzione superiore (+78% dal 2000).



I “cervelli migranti” partono soprattutto dall’Estremo Oriente (28% del totale), Cina in testa (17%), e puntano, nell’ordine, a Stati Uniti, Australia, Giappone. Seguono Nord America ed Europa (15%), Asia Centrale (6%) e Africa Subsahariana (5%). E l’Italia? Dove vanno i giovani studenti italiani? Le mete preferite degli aspiranti dottori italiani sono l’Austria, che ne accoglie 7.600, la Gran Bretagna (6.484), la Francia (5.851), la Germania (5.171) e il Vaticano (4.103). Solo al sesto posto gli Stati Uniti (4.306) e settima la Spagna (3.116).



Sarebbero quindi 39.761 i giovani cervelli che han fatto la valigia nel 2010, secondo l’Unesco. Molti di più – 62.580 – ne conta l’Ocse. Altre elaborazioni (CNR – Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali) che prendono in considerazione gli iscritti a università straniere ma anche i 18mila partecipanti al programma Erasmus (scambi tra atenei che durano in genere un semestre) producono una classifica un po’ diversa: nel 2011 il Regno Unito risulta la meta preferita dai nostri connazionali con 11.371 presenze; seconda la Germania (8.857), terza l’Austria (7.594). A seguire Spagna (6.101), Francia (5.851) e Stati Uniti (4.036).



La certezza è che dal 2008 il numero di universitari italiani cresce a ritmi sostenuti in tutto il mondo. Anche gli atenei dell’Europa dell’Est sono sempre più frequentati da studenti italiani: in molti casi, vedendosi frenati dai test d’ingresso in patria, si iscrivono a Medicina, Farmacia e Odontoiatria in Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Albania. Undici su 100 scelgono i Paesi Bassi. L’ateneo di Maastricht, in particolare, vanta un record di popolarità internazionale: il 50% degli studenti è straniero e il governo prevede un contributo di 6mila euro l’anno per ogni studente dell’Ue.

Ma anche altre nazioni dell’area Ocse – a partire da Stati Uniti, Regno Unito e Germania (e più recentemente il Giappone, che è diventato più importatore che esportatore di studenti) – incentivano l’iscrizione di studenti stranieri per accrescere il proprio capitale umano in aree disciplinari come scienza e tecnologia, che beneficiano di consistenti investimenti in ricerca e sviluppo. E così molti italiani laureati in materie scientifiche trovano lavoro nel Paese che li ha ospitati, incontrando migliori prospettive di retribuzione e di carriera rispetto a chi lavora in Italia.

Non si tratta certamente di ragioni “umanitarie”, semmai di visione politica: chi investe nella formazione dei cervelli in arrivo dall’estero sa bene che i giovani neolaureati possono fungere da ponti culturali ed economici tra i paesi. Innovazione, ricerca e sviluppo: è ormai acclarato che sono proprio questi i settori che fanno crescere l’economia e dove il capitale umano dei giovani può essere meglio speso. Questo crea chiaramente un circuito virtuoso: crea occupazione per i giovani e accresce la competitività del sistema economico. In Europa, i paesi che più investono nell’innovazione (Germania e Austria) sono quelli più virtuosi nell’occupazione giovanile e quelli che attirano più giovani dagli altri paesi.

Per quanto riguarda il flusso in entrata, è dagli anni Cinquanta che in Italia arrivano studenti dall’estero; con un andamento altalenante. Oggi sono quasi 70mila: il 3,3% del totale. Arrivano soprattutto da Albania (più di 12.000), Cina (4.700), Romania (4.174), Grecia (3.476) e Camerun (2.292). Se si vanno a leggere questi numeri, si vede che il numero di studenti provenienti dai Bric (Brasile, Russia, India e Cina), dagli Usa e dalle principali nazioni europee, è di gran lunga inferiore a quelli ospitati in Francia, Germania e Regno Unito.

Il fenomeno dei “cervelli migranti” è come abbiamo visto un fenomeno complesso. Certo è che – per quanto riguarda il nostro Paese – qualche considerazione la si può trarre:

1) La fuga dei cervelli non è solo dei giovani in cerca di lavoro, ma anche di molti studenti che scelgono di svolgere il percorso universitario all’estero.

2) Siamo ancora distanti dalle indicazioni comunitarie, che spingono per portare i tassi di internazionalizzazione tra il 5% e il 10% (come si diceva sopra siamo fermi al 3,3%); e le scelte di politica internazionale e universitaria (tra ostacoli burocratici e mancanza di sostegni allo studio) dimostrano che il nostro Paese non è ancora convinto dell’importanza strategica degli studenti quale risorsa fondamentale per lo sviluppo.

3) L’Università italiana è sempre meno apprezzata: negli ultimi 10 anni il numero dei corsi di laurea è cresciuto esponenzialmente, in modo più funzionale all’offerta (le cattedre) che alla domanda (gli studenti). I giovani hanno semmai accresciuto il loro disorientamento generale: nessuno come noi in Europa e nell’area Ocse rispetto ai numeri della generazione dei rassegnati, iNeet. Il disastro della nuova Università (dopo le riforme Berlinguer e Moratti) è cosa nota, le analisi di AlmaLaurea e Fondazione Agnelli hanno ampiamente dimostrato il fallimento del 3+2 e del finto processo di specializzazione dell’Università: tant’è che, oltre al crollo delle iscrizioni, crescono come abbiamo visto le dimensioni della mobilità studentesca.

4) In ultimo, a quanto pare si sta invertendo il trend dei giovani bamboccioni: tutto induce a pensare che stia crescendo una generazione di giovani piuttosto motivati. È nota una battuta di Padoa Schioppa che, pur condividendo l’idea di fondo di una società anziana ed egoista, coniò il temine bamboccioni: “Se volete il mio posto venitevelo a prendere, io non ve lo cedo”. Pare proprio che molti giovani vogliano seriamente “il posto”. Peccato che stiano andando a cercarlo oltre confine regalando così innovazione e know how a paesi meno anziani ed egoisti dell’Italia. Ma in tutto questo, chi ci perde davvero?

 

In collaborazione con www.think-in.it