Era il 1995 quando Irene Grandi ci ricordava come il lavoro facesse male e che fosse meglio fare l’amore (lei proponeva anche tutte le sere) invece di faticare e che, ebbene sì, anche nel serio e laborioso Giappone, i ragazzi si baciavano sui motorini davanti alle scuole. Dopo quasi venti anni, almeno per i giovani che frequentano le nostre scuole superiori, non sembra che sia molto cambiato da quanto raccontava la cantautrice fiorentina; forse solamente i modelli di scooter su cui questi continuano a baciarsi.



Il dato emerge con forza dalle più recenti rilevazioni sull’alternanza scuola-lavoro nel nostro Paese che il Ministro Carrozza presenterà al “Job & Orienta” che comincia domani a Verona (è la XXIII edizione). Solo l’8,7% del totale degli iscritti alle scuole superiori, infatti, è coinvolto in strutturate e significative esperienze di questo tipo. Un dato significativamente più alto si registra solamente (e ovviamente) negli istituti professionali dove la percentuale dei ragazzi interessati sfiora il 30%. Tutto ciò in un quadro, è opportuno segnalarlo, dove cresce complessivamente il numero delle scuole che attivano tali percorsi, il totale degli studenti interessati e la quantità delle imprese che danno la disponibilità a ospitare i giovani al proprio interno.



Una riflessione sulla validità di queste opportunità merita, tuttavia, oltre che un’analisi meramente quantitativa, un esame qualitativo. In molti casi, infatti, l’alternanza, o presunta tale, ha una durata di pochi giorni se non, in alcuni casi, di poche ore. Le aziende raccontano, inoltre, molto spesso di ragazzi che arrivano in impresa disorientati senza conoscere, ahimè, le più basilari regole di comportamento nei confronti dei colleghi e di funzionamento di un’azienda.

La sfida che, quindi, abbiamo davanti come sistema Paese, e le vicende legate all’apprendistato ce lo confermano, è prima di tutto culturale. È fondamentale impegnarsi per l’affermazione di una nuova cultura del lavoro. 



È necessario operare, insomma, per promuovere un modello sociale in cui il lavoro torni a essere, come ci ricorda anche la carta costituzionale, lo strumento principale con il quale contribuire al progresso, economico ma non solo, della nostra famiglia e delle comunità in cui viviamo.

Nessun dato normativo, nemmeno il recepimento del “fantastico” modello tedesco, che sembra rappresentare il toccasana per tutti i mali, o l’implementazione della youth guarantee può, difatti, far nulla senza una risposta, prima di tutto, educativa.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com