È stato in questi giorni diffuso il Dossier Statistico Immigrazione 2013, a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS che dal 2004 cura e pubblica l’annuale rapporto sull’immigrazione. In precedenza realizzato per organizzazioni ecclesiali, nel 2013 è stato curato per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri/UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali). L’utilità di un rapporto statistico appare evidente per la comprensione di un fenomeno complesso quale quello dell’immigrazione, una realtà che in Italia è andata acquistando una dimensione crescente nel corso degli ultimi decenni.

Due le indicazioni principali: aumenta la presenza straniera nel nostro Paese (seppur con un calo dei flussi per colpa della crisi) e si consolida la tendenza all’insediamento stabile dei migranti. Tra le provenienze continentali, secondo la stessa stima, prevale l’Europa con una quota del 50,3% (di cui il 27,4% da ricondurre ai comunitari), seguita dall’Africa (22,2%), dall’Asia (19,4%), dall’America (8,0%) e dall’Oceania (0,1%). Queste le grandi collettività non comunitarie: Marocco (513mila soggiornanti), Albania (498mila), Cina (305mila), Ucraina (225mila), Filippine (158mila), India (150mila) e Moldavia (149mila). Tra i comunitari, invece, la prima collettività è quella romena (circa 1 milione). Tra le aree di residenza continuano a prevalere le regioni del Nord (61,8%) e del Centro (24,2%), mentre le province di Milano e Roma, da sole, detengono un sesto dei residenti (16,9%).

Secondo la stima del Dossier, la presenza straniera regolare complessiva è pari a 5.186.000 persone, frutto non solo dell’ingresso di nuovi lavoratori, ma anche dei nati in Italia e dei ricongiungimenti familiari. Rilevante, infatti, anche nel 2012 è stato il numero dei bambini stranieri nati nel Bel Paese (79.894, il 14,9% di tutte le nascite), a cui si affiancano i 26.714 figli di coppie miste (il 5% del totale).

Gli occupati stranieri sono aumentati, in termini assoluti e di incidenza percentuale sull’occupazione complessiva, anche negli anni di crisi, seppur con ritmi contenuti, arrivando a incidere per almeno il 10% sull’occupazione totale. Si tratta, nel 2012, di 2,3 milioni di occupati, con una crescente concentrazione nel terziario (62,1%). Più in generale, si tratta di impieghi a bassa qualificazione (e bassa retribuzione), poco ambiti dagli italiani.

Nonostante la crescita degli occupati, il tasso di disoccupazione degli stranieri è aumentato di due punti percentuali nell’ultimo anno (14,1% e 382mila persone coinvolte), superando di quattro punti quello degli italiani, e il tasso di occupazione (60,6%), pur rimanendo più alto rispetto a quello calcolato tra gli italiani (56,4%), è anch’esso diminuito di quasi due punti. La disoccupazione non solo è in aumento, ma è di lungo periodo; in oltre la metà delle famiglie straniere (62,8%) è occupato un solo componente, mentre è del 13% la quota di quelle in cui non è presente alcun occupato (erano l’11,5% nel 2011).

Le imprese straniere (comprensive di imprese individuali con titolari nati all’estero e di società di persone o di capitali in cui a essere nata all’estero è oltre la metà dei soci o degli amministratori) sono 477.519, il 7,8% del totale nazionale, con un aumento annuale del 5,4%, nonostante il maggior costo degli interessi sui prestiti da loro fronteggiato. Si tratta di imprese che producono un valore aggiunto stimato in 7 miliardi di euro, che meriterebbero un maggiore supporto, tanto più che gli aspiranti imprenditori immigrati sono disponibili all’impegno in campi innovativi e predisposti ad attività di import/export che possono essere di beneficio tanto all’Italia quanto ai paesi di origine.

Il rapporto tra la spesa pubblica per l’immigrazione, da una parte, e i contributi previdenziali e le tasse pagate dagli immigrati, dall’altra, mostra che “anche nell’ipotesi meno favorevole di calcolo (quella della spesa pro-capite), nel 2011 gli introiti dello Stato riconducibili agli immigrati sono stati pari a 13,3 miliardi di euro, mentre le uscite sostenute per loro sono state di 11,9 miliardi, con una differenza in positivo per il sistema Paese di 1,4 miliardi”. Insomma l’obiezione ricorrente, secondo cui l’integrazione degli immigrati costerebbe troppo all’Italia, non trova riscontro nell’analisi delle singole voci di spesa. È vero invece che l’Italia sostiene spese di rilevante portata, più che per le politiche di integrazione, per interventi di controllo dell’irregolarità o di gestione dei flussi in ottica emergenziale: è stato speso oltre 1 miliardo di euro, tra il 2005 e il 2011, per Cie, Centri d’accoglienza e Centri per richiedenti asilo. Quanto al problema della criminalità degli immigrati, secondo il rapporto, “gli stranieri regolarmente presenti hanno un tasso di criminalità equiparabile a quello degli italiani; tra gli irregolari incidono invece molto i reati legati allo stesso status di irregolarità”.

Il complesso dei dati riportati rivela che all’Italia conviene essere un Paese aperto, non chiuso, posto che questo è diverso dalla “retorica dell’accoglienza”. È vero anche che la probabilità di una crescita incontrollata dei flussi migratori è alta, vista la presenza di un’emergenza umanitaria senza precedenti; e che l’Italia, considerata la sua posizione geografica, senza il supporto dell’Europa rischia serie difficoltà sia a livello di accoglienza che di integrazione.

 

In collaborazione con www.think-in.it