Almeno da un punto di vista, la situazione delle donne nel nostro Paese sembra migliorata: secondo i dati della ricerca “Stereotipi, rinunce e discriminazioni di genere”, presentati recentemente dall’Istat, infatti, i luoghi comuni sulla disuguaglianza tra i sessi sembrerebbero in gran parte superati. Il 77,5% degli intervistati nell’indagine, condotta nel 2011, nega che siano gli uomini a dover prendere le decisioni più importanti in famiglia; non è vero, afferma l’80,3%, che gli uomini siano dirigenti migliori delle donne, né tantomeno (secondo il 79,9%) è vero che gli uomini siano in generale leader politici migliori delle donne. E ancora, il 76% delle persone in coppia considera giusto per entrambi che i partner condividano il lavoro domestico; anche se il 49,7% è d’accordo che gli uomini siano meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche.

Non che questo implichi una scarsa coscienza del problema. Per il 57,7% dei cittadini la situazione degli uomini italiani è migliore di quella delle donne: a dirlo sono soprattutto le donne stesse (64,6% delle intervistate contro il 50,5% degli uomini), che hanno anche una coscienza più acuta delle discriminazioni subite (lo pensano cinque su dieci, contro i quattro su dieci della media). L’appartenenza al genere comporta tuttora difficoltà nell’accesso alla carriera dirigenziale per il 67,7% della popolazione, che vede le responsabilità familiari come un ostacolo al raggiungimento di posizioni di questo tipo. Inoltre, sono più le donne degli uomini (44,1% contro il 19,9%) a ricondurre a impegni e responsabilità familiari la ragione delle proprie rinunce in ambito lavorativo. E sono almeno metà della popolazione coloro che, in condizioni di scarsità di lavoro, ritengono giusto che i datori di lavoro diano la precedenza agli uomini.

Siamo ancora lontani, insomma, dalla parità, se non dei risultati, delle opportunità. Una parità che sembra avvicinarsi man mano che avanza il ricambio generazionale: alla domanda se sia soprattutto l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia, risponde affermativamente il 43,3% delle persone con meno di 34 anni, mentre tra i più anziani il consenso raggiunge il 66,9%.

D’altro canto, dai dati emerge un peculiare fenomeno di discriminazione “percepita”: se il 25,7% degli intervistati denuncia penalizzazioni in ambito scolastico o lavorativo, senza differenza tra i due sessi, sono soprattutto le donne ad attribuire il motivo di queste penalizzazioni al genere, mentre gli uomini le spiegano in maggioranza con l’età, la provenienza, le idee politiche o sindacali, e la mancanza di “giuste conoscenze” – vale a dire, di raccomandazioni o comunque segnalazioni. Poco importa se la mancata promozione o il mobbing derivino effettivamente dal fatto di essere donne: la percezione femminile evidenzia la presenza di un malessere diffuso, che le donne non cessano di ricondurre alla loro “intrusione” nell’ambito scolastico o lavorativo.

Il rischio è che questa dolorosa coscienza si trasformi in una giustificazione di cui accontentarsi: paradossalmente, sarebbe la migliore alleata degli stereotipi dei quali cominciamo faticosamente a liberarci.