La spesa per il personale della Pubblica amministrazione ha avuto finalmente una controtendenza, secondo i dati pubblicati dall’Agenzia pubblica Aran. Il blocco degli stipendi degli ultimi anni ha quindi cominciato a dare i suoi primi frutti, ma molto deve essere ancora fatto. La diminuzione è stata minima, ma c’è stata finalmente un’inversione di tendenza, dopo anni nei quali la retribuzione media del settore pubblico è stata molto più elevata di quella del settore privato.

Nel confronto tra il 2011, ultimo anno nel quale sono disponibili i dati, e il 2000, la retribuzione media dei dipendenti del pubblico impiego è cresciuta del 39,8%, mentre quella del settore privato del 33,7%. Vi sono dunque ancora 6 punti percentuali di differenza, senza tenere conto che il problema principale è la produttività dei dipendenti pubblici. Ma il dato che ancora deve fare preoccupare è un altro. La Pubblica amministrazione infatti fornisce principalmente servizi. La produzione del pubblico non riguarda più infatti prodotti industriali. Non esiste più la chimica o l’acciaieria di Stato.

Il confronto dunque non deve essere fatto tanto con il settore privato nel suo complesso, ma solo con quella parte che è indicata nei conti Istat con il nome di “servizi vendibili”. Confrontando l’evoluzione tra il 2000 e il 2011 si nota una disparità dell’andamento della dinamica retributiva molto più spiccata. Infatti, il settore privato è cresciuto del 28,4%, contro appunto una crescita nel settore della Pubblica amministrazione di quasi il 40%.

La diminuzione della spesa per il personale della pubblica amministrazione nel 2011 e quella probabile nel 2012, ancora non certificata dai lenti conti di Stato, è sicuramente un segnale importante e necessario. Lo Stato intermedia in Italia oltre il 60% dell’economia. Infatti, la spesa pubblica è ormai al 50% del Prodotto interno lordo, ma quest’ultimo integra al suo interno anche l’economia in nero. Depurata della parte in nero dell’economia, l’impatto dello Stato sul Pil è ormai superiore al 60%, un dato che non è raggiunto neanche dalla Svezia.

Quindi una diminuzione della spesa era alquanto necessaria, ma sicuramente non è ancora sufficiente. In Spagna, dove la crisi è meno forte che in Italia (basta vedere i dati del Pil nell’ultimo quinquennio), il Governo Zapatero decise per un taglio netto dello stipendio fino al 10% poco prima delle elezioni, mentre le amministrazioni regionali tagliavano il numero di dipendenti pubblici. In Italia, nonostante una crisi mai registrata prima, le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono salite quasi del 40% nell’ultimo decennio, come detto circa 12 punti percentuali in più rispetto ai servizi offerti dai privati.

Questa differenza deve fare riflettere tutte le parti in causa. I governi, che evidentemente non hanno saputo resistere alle tentazioni elettorali di aumentare gli stipendi, e i sindacati, che hanno permesso una spesa eccessiva. L’Italia tutto questo non se lo può più permettere. La spesa pubblica è ormai arrivata a oltre il 60% del Pil e questo provoca un livello di tassazione eccessivamente elevato.

Le spese bisogna infatti pagarle, nonostante i proclami di tutte le parti politiche sempre capaci a dire come ridurre le tasse. Ma aumentare la spesa pubblica, come sostenuto da molti altri movimenti politici, ammazzerebbe del tutto il nostro Paese, che ormai sta ballando sull’orlo del fallimento senza che nessuno sembri rendersene conto.

La riduzione della spesa è ormai una necessità se non si vuole fare la fine della Grecia. Non ci sono altre vie d’uscita, nessuna, e le parti politiche dovrebbero cominciare a capirlo.