Se da un lato i giovani-adulti, nelle società moderne avanzate, hanno sempre di più il desiderio e l’opportunità di costruire in modo creativo e strategico il loro percorso di vita, d’altro lato complessità e insicurezza tendono a renderli particolarmente prudenti nel prendere decisioni definitive, vincolanti e responsabilizzanti. Ancor più nei paesi con welfare debole e istituzioni nazionali non in grado di arginare i potenziali effetti negativi delle grandi trasformazioni sociali, demografiche ed economiche in atto – compresa la grande crisi in corso – le giovani generazioni incontrano maggiori difficoltà nel trovare lavoro, nel costruire una propria autonomia economica e nello stabilizzare i propri percorsi professionali e di vita.



È però del tutto evidente che dalla possibilità di realizzare pienamente e con successo il percorso di transizione all’età adulta dipende il benessere e la prosperità della società stessa. Se le nuove generazioni non riescono, in particolare, a trovare un lavoro e a formare una propria famiglia con figli, il problema non riguarda solo loro: è il Paese stesso che mina strutturalmente le basi del proprio futuro.



È vero che nel dibattito pubblico italiano non mancano continui riferimenti alla questione generazionale, ma è altrettanto vero che molto poco finora si è fatto in concreto per dare vere risposte. A mancare sono però anche adeguati strumenti di conoscenza e interpretazione della realtà, con il rischio di alimentare luoghi comuni e fornire letture parziali che costituiscono un alibi alle carenze dell’azione pubblica.

Proprio per colmare tale lacuna l’Istituto Toniolo ha messo in campo un osservatorio che si propone come uno dei principali punti di riferimento in Italia su analisi, riflessioni, politiche utili a conoscere e migliorare la condizione delle nuove generazioni (www.rapportogiovani.it). L’asse centrale dell’osservatorio è costituito da una rilevazione effettuata operativamente dall’Ipsos nel 2012 tramite tecnica mista Cati-Cawi su un campione di 9000 persone tra i 18 e i 29 anni, rappresentativo a livello nazionale. L’indagine è impostata in modo da poter seguire un panel di intervistati con osservazione a cadenza annuale per un periodo di cinque anni.



I primi dati analizzati mostrano come i ventenni italiani non appaiano passivi e rassegnati, tutt’altro: sono consapevoli delle difficoltà, ma per nulla rinunciatari. Da un lato è in crescita il desiderio di autonomia, dall’altro però, complice anche la crisi economica, il percorso di conquista di una piena indipendenza dai genitori è diventato oggettivamente più complicato. Mentre negli altri paesi la maggioranza dei giovani a 25 anni risulta aver lasciato la casa paterna, tale età è sempre più spostata verso i 30 anni per gli italiani. Ne consegue anche una percentuale di persone in coppia con figli tra i 30-34 anni tra le più basse in Europa.

A crescere negli ultimi anni sono stati soprattutto i motivi economici alla base della lunga permanenza nella famiglia di origine, riconducibili alla difficoltà di trovare lavoro con adeguata remunerazione. Tutt’altro che bamboccioni e schizzinosi, in larga maggioranza cercano comunque di non rimanere inattivi adattandosi sempre di più a quello che il mercato offre. Tra chi ha un lavoro, meno del 20% si dichiara pienamente soddisfatto dell’attuale impiego. Più nello specifico, un giovane su due si adegua a un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato. Inoltre, una quota molto alta, pari al 47% si adatta a svolgere un’attività che non considera pienamente coerente con il proprio percorso di studi.

Questo scadimento delle opportunità occupazionali e di reddito adeguato ha accentuato il ruolo di “ammortizzatore sociale” della famiglia di origine, tanto che siamo uno dei paesi con più alta percentuale di giovani under 30 che dipendono economicamente dai genitori. Inoltre, mentre negli altri paesi finiti gli studi o terminato un rapporto di lavoro si riesce comunque a difendere la propria autonomia, nel nostro Paese sono molti (quasi due su tre tra gli intervistati) a trovarsi a fare marcia indietro tornando a vivere con mamma e papà.

La mancanza di adeguate politiche di sostegno all’autonomia dei giovani e di inserimento solido nel mercato del lavoro hanno, poi, ricadute negative nella formazione dei propri progetti di vita. È importante però rilevare che, nonostante le difficoltà i giovani intervistati non rinunciano a pensare di poter costruire una propria famiglia e la vedono formata mediamente con più di due figli. Solo una marginale minoranza, il 9% fra gli uomini e il 6% fra le donne, pensa di non averne del tutto. Questo significa che se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti di vita non solo avremmo un Paese che torna economicamente a crescere, ma la stessa denatalità italiana diventerebbe un problema superato.