Una trentina di anni or sono – a prova della sua lungimiranza – il socialista Jacques Délors, padre dell’Europa sociale, scriveva: «Il livello elevato degli oneri sociali si pone come ostacolo all’occupazione ed esercita un effetto dissuasivo, incoraggiando la sostituzione del capitale al lavoro e favorendo l’economia parallela, incidendo particolarmente sull’occupazione delle piccole e medie industrie e, infine, incentivando la delocalizzazione degli investimenti e delle attività». Il medesimo concetto è stato ribadito migliaia di volte in questo lasso di tempo in cui tutto è cambiato. Da ultimo anche il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali del 31 maggio scorso ha riconosciuto che «il cuneo fiscale grava sul lavoro, frena l’occupazione e l’attività d’impresa».



Il Governo è impegnato a ridurre tale “cuneo” (la differenza tra costo del lavoro e retribuzione netta) per favorire l’occupazione, in particolare quella dei giovani. Già oggi, tuttavia, le quote di retribuzione contrattate a livello decentrato allo scopo di incrementare la produttività, oltre a uno sconto di carattere contributivo, reso strutturale dalla riforma Fornero, sono sottoposte a una fiscalità di vantaggio corrispondente a un’aliquota (una sorta di “cedolare secca”) del 10%.



La Legge di stabilità per il 2013 aveva stanziato, a questo titolo, una copertura poliennale superiore a 2 miliardi. Poi almeno 800 milioni di questo ammontare sono stati utilizzati dal Governo Letta per il rifinanziamento della Cig in deroga, un provvedimento sicuramente urgente e necessario, ma con aspetti singolari: un esecutivo che si propone di ridurre il costo del lavoro finisce per sottrarre risorse all’unico strumento esistente (la detassazione, appunto, del salario/produttività) che, attraverso il protagonismo delle Parti sociali, è il solo in vigore che possa consentire tale riduzione. Ricordiamo che l’Italia, nella classifica del costo del lavoro, non è ai primi posti nell’Ue, mentre lo è per quanto riguarda l’ampiezza del cuneo fiscale e contributivo. 



Ne deriva, comunque, che un aumento salariale, oneroso per il datore, si riduce in un incremento modesto in busta paga, la quale viene taglieggiata, inoltre, non solo da quello che chiamano il fiscal drag, ma anche – i due aspetti sono legati tra di loro – dall’applicazione di un’aliquota fiscale più elevata per effetto del principio della progressività dell’imposta. 

Tutto ciò premesso proviamo a calcolare questa oppressione fiscale e contributiva a cui è dato il nome di cuneo (che non è frutto della cattiveria degli uomini, ma, in larga misura, del peso del welfare state all’italiana). Ovviamente vengono prese in considerazione delle medie. Cominciamo dagli operai, premettendo che il valore della retribuzione mensile per ciascuna delle qualifiche seguenti deve essere moltiplicato per 13, tranne che nel caso dei dirigenti che di mensilità ne ricevono 14.

Fatta uguale a 23.500 euro la paga media annua lorda, al netto risultano 17.012 euro (1.310 mensili). Il costo annuo per il datore di lavoro è pari a 33.040 euro. Il che significa che, nel caso di un operaio, il rapporto tra retribuzione netta e costo del lavoro è pari al 51,5%. Consideriamo con i medesimi criteri quanto succede a un impiegato. La sua paga media annua è pari a 27.000 euro lordi corrispondenti a 19.210 euro netti (1.478 euro mensili). L’onere sostenuto dal suo datore è pari a 37.360 euro. In sostanza, il rapporto retribuzione netta/costo del lavoro si attesta al 51,4%.

Ora è il turno del quadro i cui riferimenti sono nell’ordine 54.000 euro annui come retribuzione lorda, pari, al netto, a 33.500 euro (2.580 euro mensili). Il costo totale annuo ammonta a 74.700 euro. Quindi il rapporto tra le due grandezze prese in considerazione è pari al 44,8%. Concludiamo con i dirigenti. La retribuzione lorda annua ammonta, in media, a 105.000 euro di cui 56.280 costituiscono la retribuzione netta (4.021 euro mensili per 14 mensilità). Il costo del lavoro sale a 156.700 euro. Il fatidico rapporto si attesta al 35,9%.

Per ricapitolare brevemente allo scopo di non lasciare dubbi: per effetto del fisco e del parafisco, l’operaio e l’impiegato incassano in busta paga poco più della metà di quanto il loro datore spende; il quadro meno del 45%; il dirigente meno del 36%. Che altro aggiungere?