I dati pubblicati ieri da Istat ci dicono che in Italia, ad agosto 2014, gli occupati erano 22 milioni 380 mila, in lieve aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente (+32 mila) e sostanzialmente invariati su base annua. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 134 mila, è diminuito, altresì, del 2,6% rispetto al mese precedente (-82 mila) e dello 0,9% su base annua (-28 mila). Sempre secondo le rilevazioni del nostro istituto di statistica, il tasso di occupazione, nello stesso periodo, si ferma al 55,7%, crescendo solamente di 0,1 punti percentuali sia in termini congiunturali, sia rispetto a dodici mesi prima.



Se si avanza un’analisi di genere del dato si nota, quindi, come l’occupazione aumenta tra gli uomini mentre diminuisce tra le donne sia su base mensile che annua. Infatti, il tasso di occupazione maschile, pari al 65,0%, sale di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,5 punti su base annua, mentre quello femminile, che non va oltre un modesto 46,4%, rimane invariato in termini congiunturali e diminuisce di 0,3 punti percentuali in termini tendenziali.



Più critica è la situazione dei giovani. Ad agosto 2014 gli occupati, tra i 15 e i 24 anni, erano solamente 895 mila, in diminuzione del 3,6% rispetto al mese precedente (-33 mila) e del 9,0% su base annua (-88 mila). Un dato ancora più significativo sembra essere, tuttavia, quello relativo al numero di giovani inattivi: 4 milioni 372 mila in aumento dello 0,7% nel confronto congiunturale (+28 mila) e dello 0,2% su base annua (+9 mila). Il tasso di inattività, nei giovani tra 15 e 24 anni, arriva infatti a toccare il 73,2%, in crescita di 0,5 punti percentuali nell’ultimo mese e di 0,7 punti nei dodici mesi.



Sembrano, quindi, lontanissimi, e difficilmente raggiungibili, gli ambiziosi obiettivi che l’Unione europea si era posta con il lancio della strategia di Europa 2020: l’innalzamento al 75% del tasso di occupazione per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni (persino nella sua versione nazionale “light” che si limitava a un più modesto al 67-69%).

Puntare, tuttavia, a raggiungere tali risultati deve essere la sfida principale che il Governo Renzi, con l’approvazione del Jobs Act, deve porsi: portare dentro il mercato del lavoro sempre più giovani e donne, specialmente nel nostro Mezzogiorno. Questo, tuttavia, non si realizza per decreto, ma ricostruendo un clima di fiducia rispetto alle aspettative per il futuro e, se non prima di tutto, immaginando un vero e proprio piano industriale per il sistema Paese almeno per i prossimi 10 anni.

Infatti, il percorso verso una riforma che si propone di essere storica non dovrebbe ruotare, com’è purtroppo accaduto in questi giorni, solo sullo stucchevole, e anacronistico, dibattito sull’articolo 18, ma, altresì, stimolare nel Paese, a partire dai suoi corpi intermedi, una riflessione appassionata sul modello di sviluppo e di welfare che si vuole lasciare alle prossime generazioni.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com