L’Istat ha reso pubbliche nei giorni passati le stime provvisorie sui dati dell’economia italiana. Come già successo in alcuni mesi nel corso dell’ultimo anno, abbiamo un dato apparentemente contradditorio, in quanto a settembre risultano in aumento sia il numero degli occupati, sia quello dei disoccupati. In particolare, pur in presenza di una leggera ripresa di crescita dei prezzi (+ 0,1%, un dato da ritenersi quasi ininfluente dal punto di vista statistico) abbiamo una crescita di 82 mila occupati sul mese precedente con un totale di 130 mila occupati in più nell’arco degli ultimi 12 mesi. I disoccupati tornano a essere il 12,6% con una crescita di 48 mila persone rispetto al mese precedente e di 58 mila nel corso degli ultimi 12 mesi.



Gli occupati complessivi risultano essere 22 milioni e 457 mila come a maggio 2013. Nello stesso periodo calano del 2,1% su base annua gli individui inattivi, ossia chi non essendo impegnato in percorsi formativi non cercava però attivamente un’occupazione. Per quanto riguarda i giovani compresi fra i 15 e i 24 anni, i disoccupati risultano essere quasi 700 mila con un calo dello 0,8% rispetto al mese precedente.



Guardando i grafici relativi ai dati mensili Istat degli ultimi 12 mesi si nota che i dati di settembre rafforzano l’andamento altalenante per quanto riguarda i disoccupati, mentre il dato degli occupati presenta un balzo, per quanto limitato, che conferma un andamento di leggera crescita. L’apparente paradosso del dato di crescita per entrambi gli indicatori del mercato del lavoro trova una risposta numerica nel calo degli inattivi. Più gente trova lavoro, ma molte persone che avevano smesso di cercarlo tornano a chiedere attivamente di avere una occupazione.

Alcuni commentatori hanno richiamato questo effetto come il primo risultato delle iniziative di Garanzia Giovani avviate nel corso degli ultimi mesi. Se così fosse ci sarebbe da dichiararsi più che soddisfatti, perché vorrebbe dire che i nuovi occupati sono per lo più giovani visto che scende il tasso di disoccupazione specifico. Ritenendo però che l’unico effetto di Garanzia Giovani già rilevabile sia un certo numero di giovani che si sono iscritti al programma, e quindi passati da Neet a disoccupati ufficiali (ma non vi sono ancora dati relativi a inserimenti lavorativi dovuti al programma Garanzia Giovani), ritengo che sia meglio non tentare di forzare l’interpretazione dei numeri per trarre giudizi sulle politiche in corso.



Due riflessioni generali si possono però trarre. In primo luogo, i dati dell’occupazione avvengono con una situazione dal lato della produzione e della domanda che restano stagnanti. Non vi sono segni di ripresa complessiva e tiene solo il comparto economico che può contare sull’esportazione. Il tasso di occupazione complessivo resta così molto lontano dal 70% della popolazione in età lavorativa. Ciò permette di valutare i dati come ininfluenti nel risolvere gli squilibri storici del nostro mercato del lavoro. Squilibri che segnano una grave spaccatura fra giovani che si affacciano al lavoro e chi è già inserito nel mercato. C’è poi una profonda differenza storica nel tasso di occupazione fra nord e sud del Paese. Nel sud la caduta del tasso di occupazione è iniziata prima della crisi del 2008 e quindi ci sarà bisogno di un maggiore tasso di crescita economico e occupazionale per recuperare uno squilibrio che determina condizioni sociali al limite della sussistenza. In ultimo, va segnalato la profonda differenza fra tasso di occupazione maschile e femminile, che si aggrava ulteriormente nelle aree meridionali. La piccola ripresa occupazionale di settembre non ci indica soluzioni per questi squilibri strutturali.

Per poter poi trarre indicazioni operative per le politiche del lavoro dovremmo conoscere a quali settori economici è dovuta la crescita occupazionale e quali lavoratori sono stati coinvolti. Per saperlo dovremmo avere a disposizione non dati statistici ma quelli relativi alle comunicazioni obbligatorie. Da queste sapremmo chi ha assunto e quali figure professionali, e anche con quali storie professionali alle spalle. Al fine di programmare politiche attive basate su percorsi personalizzati sono queste le cifre che devono essere messe a disposizione delle Agenzie per il lavoro e dei Centri per l’Impiego.

Dovrebbe essere una richiesta delle organizzazioni sindacali se invece che puntare a fare risorgere una concertazione centralistica volessero tornare a esercitare un ruolo attivo nel sostenere chi cerca lavoro, chi deve ricollocarsi e chi non ritiene che la condizione di cassaintegrato o di lavoratore in mobilità possa essere permanente.

La conoscenza precisa di che settori economici stanno assumendo, in quali territori, quali figure professionali, sono i dati fondamentali per sviluppare politiche attive del lavoro. Dopo tanti investimenti in sistemi informativi inutili sul mercato del lavoro ci auguriamo che la “famosa” Agenzia nazionale si ponga almeno questo utile obiettivo.