Dal primo maggio del 2014 è stata attivata, anche in Italia, la cosiddetta “Garanzia Giovani” (la versione nostrana del programma comunitario Youth Guarantee). È così possibile per i giovani registrarsi al portale nazionale o, se attivi, a quelli delle singole regioni, e poter così accedere a quel “portafoglio di opportunità e servizi” in cui si esplicita lo schema di garanzia. A oggi solo il 5,7% degli iscritti ha un’età inferiore ai 19 anni, mentre il 50,4% ha un’età compresa tra i 19 e i 24 anni e ben il 43,9% tra i 25 e i 29 anni. Un dato che, peraltro, vede emergere una differenza tra uomini e donne, con i primi maggiormente concentrati nella fascia under 25 (il 60,2% degli uomini iscritti), mentre per le donne tale percentuale si riduce al 51,4%. Prendendo, ad esempio, in considerazione la sola fascia dei 15-18enni, che per i ragazzi rappresenta il 6,6% degli iscritti,si nota come per le ragazze questo dato si fermi al 4,6%.



Se si analizza, quindi, la regione di residenza dei giovani, la Sicilia e la Campania sono quelle che presentano il maggior numero di registrati (17,6% e 16,1% rispettivamente), seguite, a distanza, dalla Regione Lazio con il 7,4%. Dati che quasi coincidono, è opportuno sottolinearlo, con la distribuzione dei Neet 15-29enni secondo Istat. In tal senso le regioni che, almeno al momento, presentano i valori più bassi nel rapporto tra registrati alla Garanzia (residenti nella regione, altra dinamica è quella dei “fuori regione”) e popolazione Neet sono la Lombardia e la Liguria.



In questo quadro, a tre mesi dall’avvio dell’iniziativa, l’Isfol ha pubblicato la scorsa settimana una prima mappatura finanziaria della Garanzia. Un lavoro che ha necessitato, in particolare, di avventurarsi nella giungla delle delibere di giunte regionali con le quali le amministrazioni hanno declinato le loro concrete scelte operative. In seguito, infatti, all’approvazione del Piano nazionale di attuazione del piano europeo per la disoccupazione giovanile sono state suddivise, sulla base della dimensione locale dei disoccupati under 25, le ingenti risorse a disposizione del nostro Paese tra le diverse amministrazioni regionali chiamate, nei fatti, a implementare sui loro territori quest’ambizioso progetto. Le regioni che hanno così ottenuto il maggior numero di risorse sono la Campania, la Sicilia e la Lombardia.



Emerge così che le regioni, nel complesso, hanno deciso di investire, in primo luogo, su tirocini e servizi formativi, quindi su misure di sviluppo del capitale umano; su servizi propedeutici all’inserimento lavorativo (in particolare l’accompagnamento al lavoro) e poi, in diretta connessione con quest’ultimo servizio, sugli incentivi all’assunzione (con la previsione di un bonus occupazionale specifico). Segue la cosiddetta “presa in carico”, mentre, ahimè, scarsamente finanziati risultano, nell’ordine, servizio civile, apprendistato e le misure intese a favorire la mobilità.

Viene da chiedersi se in un Paese come il nostro, come sottolinea anche un recente studio dell’associazione Bruno Trentin, con un tasso di occupazione del 48,7%, superiore solo a quello della Grecia (dove però il tasso di disoccupazione supera il 25% rispetto al nostro “modesto” 12%), siano state individuate le giuste priorità per inserire, in massa, i giovani nel mercato del lavoro in maniera attiva. L’impressione che emerge, anche dalla lettura di questi dati fatta da Isfol, è che, ancora una volta, il nostro Paese decida di non scommettere con coraggio sull’apprendistato, uno degli elementi di forza, per esempio, del modello tedesco, a favore di opzioni, complessivamente, più tradizionali in materia di politiche del lavoro.

La paura è che si rischi di perdere così, per l’ennesima volta, un’ altra occasione per “cambiare verso” al nostro modo tutto italiano di leggere quel cruciale periodo nella vita di tutti noi che è il passaggio dallo studio al lavoro e in definitiva, almeno così dovrebbe essere, alla vita adulta.

 

In collaborazione con www.amicimarcobiagi.com