Un’ultima riflessione può essere fatta per quel che riguarda la struttura produttiva nazionale che è dato intravedere nel rapporto Isfol-Istat su Le professioni in tempo di crisi. Competenze, abilità e condizioni di lavoro di cui abbiamo cominciato a parlare in un precedente articolo. Se sulla consueta vocazione produttiva italiana, basata sulla specializzazione settoriale, sulla dimensione aziendale e sui dualismi territoriali, molto si è discettato e qui non vale tornare a occuparsene, bisogna comunque evidenziare che tale sistema, sempre più, si avvia a generare moltissime posizioni lavorative di media e bassa qualificazione, soprattutto nelle attività commerciali e nei servizi, con annesse condizioni lavorative, in molti casi, ai limiti della sussistenza. E ciò a fronte di un aumento considerevole della qualificazione formale dell’offerta di lavoro.
Da qui, ne derivano molteplici aporie per i giovani laureati italiani tra i quali, a un estremo, l’emigrazione verso lidi stranieri più accoglienti, in grado di valorizzare al meglio il loro potenziale e, all’altro estremo, l’accettazione di posizioni lavorative di bassa qualificazione, con il conseguente spiazzamento degli altri titoli di studio. Per le posizioni non qualificate concorrono, sempre più, difatti, anche i laureati, aumentando così il fenomeno della sovraistruzione (overeducation).
Se tale scenario è verosimile non colgono nel segno, allora, le continue tirate d’orecchio, a ogni piè sospinto, dei tanti opinionisti nei riguardi di un’offerta di lavoro, a sentir loro, poco qualificata e ancor meno incline alla flessibilità, alla specializzazione settoriale, alla mobilità geografica, all’adattabilità, ecc., finanche al sacrificio personale, per andare pure sulle caratteristiche di personalità. Essi trovano, poi, una soluzione a tale mismatch nell’aumento della preparazione scolastica e professionale, ma questo tipo di argomentazione è, in molti casi, assai risibile.
Se i giovani a bassa scolarità non trovano lavoro è anche perché subiscono la concorrenza dei loro colleghi più titolati. Se alcune posizioni lavorative, connotate da bassi salari e bassa produttività, non vengono ricoperte è anche perché molti laureati non sono disposti ad accettarle per il notevole abbassamento degli standard di vita che ne deriverebbero, o almeno che vengono considerati tali dalle famiglie di appartenenza. Abituati come sono ad aspirazioni alquanto elevate, essi possono pure decidere di procrastinare, a tempo indefinito, la loro entrata nel mercato del lavoro nazionale rischiando così di scivolare, quasi inavvertitamente, nella crescente area del disagio sociale.
E, allora, in questa situazione, i laureati che sono più propensi ad accettare i posti vacanti dequalificati sono perlopiù donne, giovani e immigrati, ovvero le componenti più deboli dell’offerta di lavoro, le quali sono, in certo qual modo, forzate a rimanervi per tempi assai lunghi, “invischiate” loro malgrado. È più probabile, poi, che tra queste persone vi siano coloro che hanno conseguito delle lauree a maggior rischio di occupabilità, più quelle in scienze sociali e umanistiche, meno quelle in scienze economiche e statistiche. Ognuna di tali caratteristiche potrebbe essere considerata, pertanto, alla stregua di veri e propri “vincoli posizionali” nella stratificazione sociale che differenzierebbero le diverse possibilità di carriera quasi a segnare, in maniera indelebile, la futura traiettoria occupazionale.
In definitiva, il quadro così delineato mostra assai bene come nella struttura produttiva italiana sono poco presenti le posizioni lavorative tecnologicamente più avanzate, tranne lodevoli eccezioni, e ciò si riflette in maniera chiara anche sulle dinamiche occupazionali che si sono prese in esame, mentre l’esistenza di una corrispondente forza di lavoro formalmente qualificata è costretta a fare, ogni giorno di più, scelte difficilmente razionali in un mercato del lavoro sempre più opaco e vischioso.
Va da sé che un mercato del lavoro siffatto, è facile prevederlo, incontrerà notevoli problemi, nel prossimo futuro, quando dovrà sempre più confrontarsi anche con una forza lavoro altamente qualificata, perlopiù proveniente dai paesi asiatici, Cina in primis, la quale ha già iniziato a far sentire tutto il suo peso quantitativo nei mercati oramai mondializzati.
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