Ieri sono stati pubblicati i dati mensili Istat sul mercato del lavoro. La polemica politica può proseguire e cercare di dire che nulla si muove e che l’ottimismo renziano è solo frutto di una strategia di propaganda. I numeri indicano però che il sentiero di crescita, anche se sempre per decimali, continua e segue indicatori positivi.



Il numero degli occupati per il mese di agosto 2015 cresce di 69.000 unità (+0,3%) ed è pari alla crescita registrata nel mese di luglio, mentre giugno aveva registrato solo un +0,1%. Anche il dato dei disoccupati mantiene un trend positivo. Calano di 11.000 unità, pari allo 0,4%. Nell’arco di 12 mesi la stima è che i disoccupati sono diminuiti di 162.000 unità (-5%). 



Se il tasso di disoccupazione si attesta all’11,9%, la crescita occupazionale è data quasi esclusivamente dall’incremento del lavoro dipendente. I lavoratori indipendenti non registrano inserimenti nel periodo, confermando così una stagnazione che perdura da oltre un semestre. Per quanto riguarda la composizione dei nuovi occupati, sia i maschi che le femmine registrano lo stesso incremento del 3% e, come già evidenziato dalla stima dei mesi precedenti, la differenza di andamento fra nuovi occupati e calo della disoccupazione è dovuto alla contemporanea diminuzione della quota di persone inattive. Nel mese di agosto sono non a caso 86.000 le persone che sono passate da inattività a un ruolo attivo. Il calo è pari allo 0,2% e conferma un trend che nei dodici mesi ha visto una diminuzione del tasso dell’1,7%, pari a 248.000 unità.



I movimenti mensili delle stime Istat possono anche essere visti favorevoli all’impostazione governativa. Certo è che 325.000 persone hanno trovato lavoro nell’arco degli ultimi 12 mesi e ciò resta un dato importante. Ciò che indica un trend positivo è il tasso di occupazione complessivo. Come già detto più volte, era il calo complessivo degli occupati a indicare, nel corso degli anni della crisi economica, la difficoltà strutturale del nostro sistema produttivo di reagire producendo nuovi posti di lavoro. I dati di agosto, se visti anche alla luce di quelli del primo semestre dell’anno, indicano che si è invertita la tendenza: il tasso di occupazione è aumentato ancora dello 0,2% arrivando al 56,5%, cioè l’1% in più di dodici mesi prima.

Siamo però ancora lontani dagli obiettivi europei di occupazione. Mancano ancora quasi 15 punti percentuali per poter ritenere che il traguardo di un sistema di piena occupazione sia funzionante. Significa pensare a oltre 10 milioni di nuovi posti di lavoro. Magari non tutti a tempo pieno… Studenti, anziani e altre categorie che non chiederebbero vincoli full-time e che oggi non riescono a trovare sbocchi in un mercato che ha ancora troppe rigidità.

Detto questo, il tasso di occupazione mostra però le discrepanze note del nostro mercato. Il tasso riferito alla popolazione maschile è arrivato al 65,6%, meno di 5 punti lo separano dall’obiettivo fissato a livello europeo. Il tasso riferito alla popolazione femminile è invece ancora al 47,5%, con 12,5 punti di differenza rispetto all’obiettivo del 60% fissato dall’Europa. Il ritardo storico che il nostro mercato del lavoro ha nei confronti dell’occupazione femminile non viene ancora colmato e richiede interventi specifici per sostenere la partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro.

A ciò si deve come sempre aggiungere che tale squilibrio trova nelle divisioni territoriali un’ulteriore conferma. Nelle regioni del Mezzogiorno il tasso di occupazione femminile è di circa 10 punti inferiore a quello nazionale, mentre al nord è simile al tasso di occupazione registrato nazionalmente per la popolazione maschile.

Emergono così i due problemi strutturali del nostro mercato del lavoro: il ritardo con cui è crescita la partecipazione attiva della popolazione femminile e il ritardo con cui si affronta lo sviluppo delle regioni meridionali. È evidente che non bastano i contenuti del Jobs Act per affrontare queste sfide. La riforma ha reso più flessibile il mercato del lavoro, ha rilanciato i contratti di lavoro stabili e ha avviato la costruzione di un sistema di servizi al lavoro per sostenere la mobilità da posto a posto. 

Non a caso la crescita dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e con contratto a tempo determinato indica una migrazione da forme di lavoro precario verso un’occupazione di maggiore qualità e con maggiori tutele. Anche gli interventi di riforma per i percorsi di scuola-lavoro e il rilancio dell’apprendistato di primo livello incideranno su una struttura del mercato del lavoro che per troppo tempo è rimasta immobile e trovava nei contratti precari la valvola di sfogo.

Per rilanciare però una crescita del tasso di occupazione vi è la necessità di incidere sulla crescita della base produttiva. Consumi e investimenti restano ancora stagnanti. Non basta la crescita del Pil all’1% per creare i posti di lavoro necessari a imprimere una sterzata al tasso di occupazione. La crescita di nuovi investimenti in infrastrutture è indispensabile per affrontare le sfide aperte nel Mezzogiorno.

Una decisa ripresa occupazionale porrà la domanda di nuovi contratti modulati sui target estremi del mercato del lavoro. Occorrerà favorire part-time e contratti di lavoro per anziani in via di pensionamento. Anche nuovi livelli contrattuali capaci aiutare una ripresa della produttività nell’industria e nei servizi saranno richieste ai nuovi accordi sindacali.

Senza ripresa del tasso di occupazione queste nuove sfide rischiano di rimanere solo teoriche. C’è bisogno di crescita economica per affrontare bene le sfide della modernità e di nuovi modi di organizzare il lavoro.