Secondo il recente rapporto dell’Ilo “Tendenze globali dell’occupazione giovanile 2015”, pubblicato nei giorni scorsi, il tasso di disoccupazione giovanile a livello globale si è stabilizzato al 13% dopo un periodo di rapido aumento tra il 2007 e il 2010. Il dato rimane, tuttavia, ancora di molto superiore al livello pre-crisi quando si registrava l’11,7%. Il rapporto sottolinea, quindi, la diminuzione del numero dei giovani disoccupati che si attestava, nel 2014, a ben 73,3 milioni: siamo di fronte a una diminuzione di 3,3 milioni di giovani disoccupati rispetto al massimo di 76,6 raggiunto nel 2009.
Lo studio registra, inoltre, come, rispetto al 2012, il tasso di disoccupazione giovanile sia diminuito di 1,4 punti percentuali nelle economie più sviluppate (e nell’Unione europea) e di 0,5 punti percentuali, o meno, nell’Europa centrale e sud-orientale (non appartenente all’Ue), in America Latina e nei Caraibi, e nell’Africa sub-sahariana.
Il tasso globale di disoccupazione giovanile rimane, quindi, sempre alto mentre il numero dei giovani disoccupati diminuisce. Questo fenomeno è dovuto, anche, alla diminuzione del numero dei giovani nella popolazione attiva e alla, contestuale, crescita dei cosiddetti Neet.
In questo quadro il rapporto evidenzia come, nonostante lievi miglioramenti, alla fine del 2014 l’Italia fosse ancora il quarto paese dell’Unione europea con il tasso di disoccupazione giovanile più alto: il 42,7%. Tale indice è, per intendersi, il doppio di quello che avevamo nel periodo pre-crisi. L’alta quota di disoccupazione di lunga durata, inoltre, un fenomeno che, a tutt’oggi, colpisce circa il 60% dei giovani disoccupati, è, in particolare, per gli estensori dello studio, un fattore di forte preoccupazione.
Il Jobs Act sembra, o almeno così ci viene raccontato, stia cambiando il quadro e invertendo la tendenza. Un’inversione di marcia certificata anche, al netto della nota polemica estiva sull’uso dei dati, dall’Inps. Il nostro istituto nazionale di previdenza sociale ci comunica, infatti, che sono ben 319 mila i contratti a tempo indeterminato, sebbene “a tutele crescenti” in più nei primo otto mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo 2014.
Il rapporto ci dice anche che le agevolazioni fiscali e il Jobs Act per ora non stanno funzionando troppo bene nel nostro Mezzogiorno, ossia in quelle zone della nostra Italia in cui la disoccupazione e il precariato si sono di fatto “incancrenite” negli ultimi anni.
L’Italia, insomma, sembra stia #cambiandoverso, ma, probabilmente, non tutta alla stessa velocità. È da auspicare, quindi, che la Legge di stabilità sia l’occasione per andare oltre il Jobs Act, immaginando, dopo molti anni, un ambizioso piano industriale per il Paese che metta al centro le potenzialità del nostro Mezzogiorno senza il quale l’Italia tutta non potrà uscire dalla crisi.