Pochi giorni fa l’Inps ha pubblicato i dati del suo “Osservatorio sul Precariato” con riferimento al mese di settembre 2015. Il rilascio di queste informazioni offre, quindi, l’ennesimo spunto per provare a fare il “tagliando” al Job Act e, in particolare, sulla tenuta dell’istituto del contratto a “tutele crescenti” e della decontribuzione. Si scopre così che nei primi nove mesi del 2015 è aumentato, rispetto al corrispondente periodo del 2014, il numero di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel settore privato (+340.323). Crescono, tuttavia, anche i contratti a termine “liberalizzati” dal Decreto Poletti (+19.119), mentre si riducono, potremmo dire ovviamente, le assunzioni in apprendistato (-32.991).



Le nuove assunzioni a tempo indeterminato nel settore privato stipulate in Italia, rilevate da Inps, sono state, quindi, 1.330.964, ben il 34,4% in più rispetto all’analogo periodo del 2014. In questo quadro le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti di lavoro a termine e degli apprendisti, sono state altresì 371.152 (l’incremento rispetto al 2014 è del 18,1%). Pertanto, a settembre 2015, possiamo dire che la quota di assunzioni con rapporti stabili sul totale dei rapporti di lavoro attivati/variati è passata dal 32,0% dei primi nove mesi del 2014 al 38,1% dello stesso periodo del 2015. Nella fascia dei giovani fino 29 anni, in particolare, l’incidenza dei rapporti di lavoro “stabili”, sebbene a tutele crescenti, sul totale dei rapporti di lavoro è passata dal 24,4% del 2014 al 31,3% del 2015.



Se si guarda poi la dinamica dell’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato 2015 su 2014 nei diversi territori si deve evidenziare come questo sia superiore alla media nazionale (+34,4%) in Friuli-Venezia Giulia (+82,0%), in Umbria (+59,6%), in Piemonte (+54,4%), nelle Marche (+52,8%), in Emilia-Romagna (+50,1%), in Trentino-Alto-Adige (+48,7%), in Veneto (+47,8%), in Liguria (+46,0%), nel Lazio (+41,1%), in Lombardia (+39,0%), in Basilicata (+35,9%), in Sardegna (+35,4%) e in Toscana (+34,9%). I risultati peggiori si registrano, ahimè prevedibilmente, nelle regioni del Sud: Sicilia (+10,8%), Puglia (+15,8%) e Calabria (+17,1%).



Dal punto di vista retributivo il rapporto evidenzia, quindi, come, rispetto al 2014, il peso dei nuovi rapporti di lavoro con retribuzioni mensili inferiori a 1.000 euro diminuisca di un punto percentuale, passando dal 6,3% al 5,3%; una diminuzione si riscontra anche nella fascia retributiva immediatamente superiore (1.001-1.250 euro), la cui incidenza passa dall’8,8% del 2014 al 7,9% del 2015. Risulta, altresì, in lieve diminuzione (da 22,9% a 22,6%) il peso dei nuovi rapporti di lavoro con retribuzioni comprese nella fascia tra 1.251 e 1.500 euro, mentre aumenta di 0,9 punti percentuali il numero dei rapporti che si collocano nella fascia retributiva da 1.501 a 1.750 euro e di 0,7 punti percentuali quello nella fascia da 1.751 a 2.000 euro; per i nuovi rapporti di lavoro con retribuzioni compresa fra 2.001 a 3.000 euro, infine, gli aumenti sono pari a 0,2 punti percentuali, mentre risulta pressoché stabile l’incidenza delle fasce retributive superiori a 3.000 euro.

Per una valutazione complessiva, tuttavia, così almeno ci dicono gli esperti, sarà probabilmente più opportuno aspettare la fine dell’anno. Solo, in quel momento, infatti, si potrà capire se Jobs Act e decontribuzione abbiano aiutato la creazione di vera nuova occupazione o, per quanto non sia comunque un dato irrilevante, semplicemente modificato, a favore dei contratti “a tutela crescente”, la nostra struttura occupazionale.

La Legge di stabilità 2016, inoltre, prevede, almeno nella versione a oggi disponibile, anche per il prossimo anno la conferma dello sgravio dei contributi Inps a carico dei datori di lavoro per nuovi contratti a tempo indeterminato, ma ne riduce la durata a ventiquattro mesi e il tetto massimo di esonero ammesso che passerà dagli 8.060 euro del 2015 a soli 3.250 euro.

Il 2016 sarà, quindi, un importante banco di prova per capire, in attesa che l’Italia riparta per davvero, le ragioni di questo boom di contratti “stabili” e per dare una prima serena valutazione dell’impatto sul nostro Paese della, finora, più significativa riforma del Governo Renzi.