Dopo lo studio del National Bureau of Economic Research che spiega la crescita della società civile in funzione dell’azione sindacale (ne abbiamo parlato di recente su queste pagine), è stata la Conferenza Nazionale della Cisl – tenutasi la scorsa settimana a Riccione – a offrire spunti di riflessione importanti circa il ruolo del sindacato nella società di oggi e di domani.
Una ricerca presentata direttamente da Annamaria Furlan fa emergere bisogni di rappresentanza sempre più concreti: basta scioperi e lotte (solo il 21% è a favore), il campione intervistato – oltre 1000 lavoratori dipendenti e pensionati, tra pubblici e privati – chiede di innovare lo stile con cui il sindacato si relaziona con il governo. Tra i lavoratori dipendenti in Italia, quasi 6 su 10 (oltre il 58%) non ha mai posseduto una tessera e solo il 10% tra i mai iscritti mostrerebbe una propensione ad avvicinarsi al sindacato.
Resta il fatto che, se il sindacato vuole darsi una vera prospettiva, più che intercettare le esigenze della sua base deve proporre nuove soluzioni per i giovani. Si stima da tempo che solo il 10% degli iscritti al sindacato sia lavoro giovanile. Sono i giovani il nuovo da rappresentare e da tutelare, sia per quanto riguarda i rapporti di lavoro, sia per ciò che concerne aspetti di welfare strettamente legati alla previdenza. Che ne sarà infatti dei precari oggi? Saranno poveri domani?
I soggetti di rappresentanza hanno bisogno di riallinearsi a un nuovo paradigma; sono infatti cambiati molti fattori che naturalmente incidono sulla rappresentanza e sulla contrattazione collettiva. In primis, gli interessi di imprenditori e lavoratori sono sempre più coincidenti: le imprese, dovendo far fronte alla competizione globale, devono poter essere competitive nell’interesse medesimo dei loro lavoratori; in secundis, la regolazione del mercato e del lavoro deve dare certezza all’investitore: non è così in tutti i paesi dell’Unione e anche le differenziazioni del fisco finiscono con avvantaggiare alcuni paesi sugli altri; infine, ma non per ultimo, la mobilità nel mercato è alta (e i livelli pre-crisi di tale mobilità sono addirittura più alti), l’interesse non è più per il posto di lavoro ma per il percorso: ciò vuol dire rivedere non solo strumenti di regolazione ma anche le forme di tutela medesime. Questa vision sembra essere accolta dalle sigle sindacali, ma di fatto qualche resistenza e qualche ritardo ancora si sconta.
Un’ultima annotazione interessante circa la ricerca Cisl: al 63% degli intervistati piace il nuovo contratto FCA e il salario legato ai risultati aziendali. Questa è una buona notizia, legare la retribuzione alla produttività non significa ridurre i salari e non c’è dubbio che sia la strada da percorrere per le nuove relazioni industriali.
Twitter @sabella_thinkin