Esattamente un anno fa il Governo approvava, nella giornata del 24 dicembre, la prima bozza di decreto attuativo della legge delega in materia di mercato del lavoro (il cosiddetto Jobs Act, più correttamente la legge 183/2014). Lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, adottato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, sarebbe poi, con alcune, ma non significative, modifiche, divenuto il D.lgs 23/2015 del marzo di quest’anno.



Nasceva così in quei giorni, il “nuovo” contratto a tempo indeterminato, quello a tutele crescenti, con il quale si riscrivono, in maniera significativa, le norme in materia di licenziamenti “rottamando”, di fatto, lo storico articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per il cui mantenimento molti scioperi erano stati proclamati negli ultimi anni, in particolare dai sindacati più collocabili a sinistra.



Il decreto, infatti, alla luce di quanto previsto dalla legge delega, si propone di promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri sia diretti che indiretti.

Siamo, quindi, ora, a quasi di un anno di distanza, in grado di dare un giudizio sereno sulla bontà, o meno, del provvedimento? Probabilmente ancora no, ma, sicuramente, la lettura di alcuni dati, come quelli dell’Istat di un paio di settimane fa, può aiutarci a elaborare una prima, per quanto “in progress”, valutazione.



Il nostro istituto di statistica ci dice, ad esempio, che anche nel terzo trimestre del 2015 è proseguita, a ritmi più che sostenuti, la crescita tendenziale del numero degli occupati: +1,1%, pari a 247 mila in un anno. Il tasso di occupazione delle persone tra i 15 e i 64 anni ha raggiunto così il 56,7% (+0,8 punti percentuali). Un incremento, questo, concentrato, in particolare, tra i lavoratori dipendenti, in crescita da sei trimestri, sebbene soprattutto a termine: +182 mila in un anno. 

La crescita tendenziale del lavoro a tempo indeterminato, che regista un ben più modesto +59 mila, nonostante la nuova normativa ritenuta più favorevole alle imprese e gli interessanti, e generosi, incentivi contributi, è, infatti, dovuta principalmente a modifiche nella struttura occupazionale degli uomini, in particolare over 50.

Sembra, insomma, evidente come, ancora una volta, il lavoro, magari anche “buono”, non lo si crea per decreto o tramite incentivi che “drogano” il mercato del lavoro. La crescita, e quindi l’occupazione, nasce, infatti, prima di tutto, dal rilancio di un serio progetto industriale per il sistema Paese che, ancora, sembra mancare.